Recensione di Teatri di Vetro, Roma.
Ad aprire il festival Teatri di Vetro è la performance di e con Matteo Lanfranchi, produzione Effetto Larsen, dal titolo TUO/OUT. Il piazzale antistante al teatro Palladium accoglie il piccolo mondo di un uomo senza nome, che ha sempre vissuto chiuso nella sua stanza, tra quattro pareti invisibili ma claustrofobiche e dal perimetro limitato, disegnato con gessetti colorati sul pavimento. Uno spazio che spinge l’uomo a vivere della sua immaginazione, animata a contatto con i pochi oggetti che lo circondano, alcuni dei quali appartenenti al passato infantile: un piccolo orsetto di peluche, una sediolina di legno per bambini, un mantello da supereroe. Si avverte immediatamente il trauma che provoca nel protagonista il ritrovarsi all’improvviso in uno spazio aperto. Forte il contrasto tra l’ambiente intimo in cui è abituato a vivere e l’angolo di città caotico e straniante. Nel suo correre da una parte all’altra della piazza si avverte la volontà di voler riempire di sé l’ambiente circostante ampliando all’estremo i suoi movimenti. Attraverso il suo incontro con il pubblico si realizza la difficoltà di un uomo abituato a fare i conti solo con se stesso, per cui la comunicazione con gli altri diventa un ostacolo. L’esperienza di quest’uomo senza nome rappresenta la tragedia contemporanea della solitudine dilagante, il singolo messo a contatto con lo sguardo della folla perde l’orientamento, si sente perso.
Spostandoci all’interno del teatro, nel foyer ci accolgono Graziano Lella e Manuela Cherubini, Psicopompo Teatro, con un concerto per parole alla prima esecuzione dal vivo dal titolo FRATTALE 1.0. Il frattale è una forma geometrica che si ritrova in natura e che si ripete sempre con la sua stessa struttura su scale diverse. Ciò significa che anche nella più piccola parte di un frattale è possibile ritrovarvi l’unità di partenza. Questa sperimentazione musicale punta, attraverso l’uso di musica testo e voce, a creare un’esperienza unica, come se si volesse dar vita ad un solo essere coeso. Il risultato appare però confusionario e a tratti poco accattivante: le parole, riprese da un testo di Julio Cortazar, si ripetono in echi a volte deformanti; la musica prodotta elettronicamente procura all’orecchio dello spettatore suggestioni molto diverse tra loro, oscillando fra suoni morbidi e altri stridenti al punto da creare fastidio. Anche lo spazio scelto non ha aiutato la riuscita del concerto che avrebbe richiesto un ambiente più raccolto, anche più buio, lontano da altre forme di distrazione, in modo tale da permettere allo spettatore di concentrarsi esclusivamente sull’ascolto.
Lo spettacolo centrale della serata si svolge sul palco del teatro Palladium. Bugimirò, sogno segreto di un tarlo, ideazione e danza di Alessandro Pintus. Dal buio in sala l’attenzione si focalizza sull’unico elemento scenografico dello spettacolo: un armadio in legno composto da un’anta dipinta con stampa giapponese, un paio di cassetti, uno specchio. Semplice e immobile nasconde in realtà qualcosa di vivo. Un tarlo mangia-legno lo abita e lo consuma. Attraverso la sua danza, Pintus mette in scena due punti di vista differenti. Da un lato quello dell’uomo che cerca con ogni mezzo di combattere lo sporco e le forme di vita che da esso si generano. Come un vero detective alla ricerca del colpevole segue le tracce di sporco create dal piccolo tarlo; le sue armi letali sono la scopa e l’aspirapolvere, con la mascherina protettiva sul viso elimina piccoli cumuli di polvere e segatura creatisi sotto l’armadio ad opera dell’intruso. Il suo obiettivo è creare un ambiente asettico; pulire ogni interstizio diventa attività ossessiva: necessità impellente di disinfettare, sterilizzare. Dall’altro punto di vista è messa in scena la storia del tarlo/bruco che vive, cresce e trova nutrimento all’interno dell’armadio. La danza descrive le fasi della sua crescita, dal bozzolo costrittivo al momento del dispiegarsi delle grandi ali di farfalla. Scene in cui l’uso della video-art (ad opera di Simone Palma) riesce a creare grande effetto spettacolare e ad essere un vero supporto alle suggestioni della danza. La vita dell’appena nata farfalla finisce tra un tappeto di rose e lo scontro con una gabbietta elettrica che frigge gli insetti fastidiosi per l’uomo. Una storia semplice in cui si rivela il forte contrasto tra l’evoluzione poetica del piccolo insetto e l’atteggiamento estremo, tanto da diventare ridicolo, dell’uomo/aspirapolvere.
La prima serata di Teatri di Vetro si conclude con un’ultima performance, Lavori in corso, che vede protagonista Luisa Merloni nei panni di una presentatrice dalla comicità clownesca e un pò surreale. Si comporta come un personaggio fuori contesto, come se fosse capitata sulla scena per puro caso, interagisce col pubblico che partecipa divertito. Levandosi la maschera legge un brano di Artaud, e da personaggio femminile stereotipato arriva ad assumere quasi una valenza di denuncia politico-sociale.
Uscendo dal teatro e svoltando l’angolo ecco sulla parete di un palazzo l’installazione video-sonora di Fabrizio Crisafulli, Polidoro dialogo tra un danzatore e un cespuglio. Una performance videoproiettata in cui l’autore stesso esegue per un lungo periodo movimenti accellerati e continui. In bianco e nero, ricorda il Chaplin di Tempi moderni con i suoi gesti ripetitivi, i ritmi disumani e spersonalizzanti, ma Crisafulli non lavora in fabbrica e le sue azioni senza inizio e senza fine sembrano piuttosto una sperimentazione futurista.
Valentina Piscitelli