Recensione a Rewind – di Daria Deflorian e Antonio Tagliarini
Partire da Pina Bausch e restituirne dei ricordi frammentati come possono essere l’immagine delle sue braccia magre e lunghissime, l’attaccatura dei capelli raccolti, la sigaretta sempre accesa. Schiacciare il tasto play di memorie appartenenti alla collettività e allo stesso tempo imbevute di soggettività: un riavvolgimento di nastro continuo dove il pubblico ascolta la famosa pièce della Bausch Café Müller raccontata in scena da Daria Deflorian e Antonio Tagliarini, seduti davanti al loro piccolo schermo del computer a vederne il video.
È un vero e proprio Rewind come dice lo stesso titolo: ma è frantumato, interrotto; soprattutto è commentato dai due attori e mescolato a dei momenti della propria vita come fosse un punto di partenza per parlare di sé e mostrare la propria intimità. Nonostante siano pochi fortunati ad aver visto questo capolavoro di teatro-danza, dal vivo, Café Müller si è ugualmente sedimentato nel patrimonio di ricordi privati di ognuno, trasformandosi in emozione e confondendosi con sentimenti appartenenti al proprio Io.
Rewind non è solo uno spettacolo di “riavvolgimento”; è anche una destrutturazione dei meccanismi che regolano tempo, memorie e percezione del quotidiano. E così il quotidiano presente in Café Müller viene a tratti riproposto da Deflorian e Tagliarini, attori puntuali, “reali” e non personaggi di uno spettacolo; con grande ironia mostrano come le sedie, semplici oggetti di uso comune, possano acquistare un’aura quasi magica se appartenute alla Bausch.
Soprattutto regalano uno dei momenti più riusciti dello spettacolo dove le sedie danzano, protagoniste inanimate di una coreografia alla ricerca di un equilibrio precario mentre l’uomo quasi scompare. Questo lirismo è subito interrotto da un intermezzo comico – i due interpretano una serie di pazienti in attesa del dottore –, divertente stacco che riporta alla realtà e al ruolo quotidiano della sedia diventando però quasi uno strappo, un ripetersi di un concetto già approfondito inizialmente.
Data la natura intellettualistica dello spettacolo, Rewind andrebbe asciugato leggermente in alcuni punti per far meglio recepire al pubblico, senza annoiarsi, il contenuto di un lavoro che non punta all’emozione, quanto alla riflessione di questi meccanismi, proprio come gli spettacoli del coreografo francese Jérôme Bel – tanto amato quanto odiato – che attiva continui slittamenti di significato. Innescando continue rotture e facendo sviare su altri piani ciò che siamo abituati a vedere, o meglio a non vedere, Rewind rimane forse per un pubblico di nicchia, ma allo stesso tempo rappresenta uno spettacolo di respiro europeo.
Visto al Festival Internazionale di Andria Castel dei Mondi 2011, Andria
Carlotta Tringali
Ma l’autrice dell’articolo era presente?Io ero presente. E’ uno sei peggiori spettacoli cui abbia mai assistito. L’inconsistenza comunicativa degli attori ha reso una buona idea, un pessimo spettacolo.
Caro Pietro,
come mi sembra di aver specificato nell’articolo ho espresso delle puntualizzazioni circa un lavoro molto concettuale e non alla ricerca di forti emozioni. Di conseguenza credo che la comunicazione degli attori fosse mirata a una riflessione che potesse continuare dopo lo spettacolo; posso dire che ho sentito diverse persone interrogarsi una volta usciti dal cortile di Palazzo Ducale, e anche nei giorni successivi, sui meccanismi di destrutturazione che Deflorian/Tagliarini sono andati a scomodare. Non è uno spettacolo di facile fruizione, né immediato o che strizza l’occhio allo spettatore; ma fa riflettere su delle questioni interessanti e per questo credo sia uno spettacolo riuscito.
Carlotta