Recensione di Crac – Motus
La perfetta geometria di linee e piccoli quadrati proiettati su due superfici speculari, coppia di spazi circoscritti in due cerchi bianchi, si scontra con il movimento volutamente impreciso, insicuro e destabilizzante di Silvia Calderoni, unica interprete di Crac, performance ideata e diretta dai Motus.
Il lavoro processuale sviluppatosi tra le periferie di città europee a partire dai primi ‘movimenti’ di X (ics). Racconti crudeli della giovinezza, ha condotto i due artisti fondatori della compagnia riminese, Enrico Casagrande e Daniela Nicolò, a sintetizzare al massimo l’esperienza precedente. Con Crac si raggiunge una poesia fatta di immagini virtuali, di piccole linee, di elementi propri dei videogames che si allontanano dalla realtà documentaristica dei Racconti crudeli. Ma il mondo fittizio di pixel cui lo spettatore è posto davanti è imbevuto di quotidianità, restituita tramite un tappeto sonoro che riporta i rumori di una città insonne: urla, risate, sirene, fischi di treni. Il cerchio bianco, su cui vengono proiettate queste figurine geometriche, si frantuma, riproducendo piccole fessure che aprono verso un suono altro, verso voci straniere, musiche appartenenti a culture differenti. Se video e sonorità sintetiche rimandano al mondo esterno, in terra disteso sul palco l’esile corpo di Silvia rappresenta la sfera dell’interiorità, del proprio Io. Vestita di bianco, l’androgina figurina cerca di dormire, nello spazio sempre delimitato in un cerchio, mentre il sound design curato da Enrico Casagrande e Roberto Pozzi rimanda incessantemente a manifestazioni politiche, a una violenza verbale agghiacciante e attuale, perfettamente riconoscibile.
Silvia Calderoni si spoglia dei pattini in linea, presenti nelle diverse tappe di X, per indossare quelli classici, con cui viene eseguito solitamente il pattinaggio artistico. Ma la sua non è una danza, non ha niente di propriamente ‘artistico’: è un movimento estenuante, fatto di cadute e risalite; è la continua ricerca di una stabilità lontana, specchio di un mondo fratturato. Pixel, registrazioni sonore e corpo umano interagiscono in un vertiginoso crescendo dove il mondo dell’interiorità cerca di allargare la sua dimensione, di conquistare un proprio spazio dietro le sbarre che vengono riprodotte nel cerchio. Ma le linee si fanno serrate, il cerchio è spezzato; tutto sembra crollare, collassare e rompersi: lo stesso telo bianco viene aperto da Silvia, che si infila al suo interno. Ma rimane la speranza di una rinascita, di una possibile nuova congiuntura, tramite una piccola piantina che spunta dalla frattura.
Una performance fatta di emozioni digitali, che veicola la sua poeticità raggiunta con una perfetta interazione tra mondo virtuale e fisicità. Ma che forse riesce a parlare molto di più allo spettatore appassionato che abbia già seguito tappa per tappa il processo di ricerca sulla giovinezza, rispetto a chi vede Crac come una performance a sé stante, che rimane così all’oscuro dei tanti sottili rimandi all’adolescenza.
Visto al bastione Alicorno, Padova
Carlotta Tringali