Recensione di La macchina di Kafka – Masque teatro
Tintinnii di bottiglie, una soave melodia composta in completa autonomia dai tasti di un pianoforte e il rumore seriale prodotto da un ago di una macchina da cucito: sono queste le sonorità teatrali che il gruppo Masque teatro ha portato a Santarcangelo 39, il noto festival delle arti sceniche diretto quest’anno da Chiara Guidi della Socìetas Raffaello Sanzio.
La compagnia romagnola fondata tra Forlì e Cesena nel 1992 da Lorenzo Bazzocchi e Catia Gatelli pone un interessante tipo di conflitto nella sua ricerca sonora: tra macchina e corpo, tra suono meccanico e rumore prodotto dall’interazione di una figura con uno strumento. La macchina di Kafka reinterpreta in modo del tutto particolare la metamorfosi di un corpo che sembra subire una trasformazione ad ogni contatto con le corde di un pianoforte Disklavier. Il fisico di Eleonora Sedioli sembra privo di identità sessuale, non è riconducibile a una classificazione: si dimena, si solleva e si contorce; è sottoposto a continui spasmi, come se il movimento a scatti fosse controllato dall’esterno. I suoi muscoli suggeriscono l’avvento di una trasformazione, una modifica in qualcosa d’altro, in un essere informe.
L’atmosfera di inquietudine di quella stanza buia e poco illuminata della Celletta Zampeschi di Santarcangelo viene restituita dagli strumenti che prendono vita autonomamente: la macchina da cucito, il pianoforte e la credenza di bottiglie che inizia a vibrare. Il suono si autogenera mentre il corpo si trasforma senza seguire una propria volontà, costretto a una modificazione incontrollabile, a spasmi che si bloccano solo quando gli strumenti iniziano a produrre un sottofondo musicale. La macchina vince sul corpo, non è più quest’ultimo a controllare i dispositivi: rimane un senso di impotenza di fronte a un prodotto umano che sembra prendere il sopravvento, che ha un’essenza interna. Al centro della stanza rimane solo quel corpo, accartocciato, animalesco, irriconoscibile; un corpo-macchina privo di anima, vuoto. Mentre i dispositivi ritornano silenziosi nella loro posizione, di nuovo senza vita, in attesa che qualcuno li faccia suonare o che, semplicemente, li ascolti.
Visto nella Celletta Zampeschi, Santarcangelo 39
Carlotta Tringali