Recensione a I will survive – Maretta\Cavallari e a Sinestesie Ambientali – VisionAria e Shadow Sync
Il FoPa – Festival of performing arts di Pola – si apre con due lavori altamente diversi tra loro, ma che coabitano il medesimo luogo: l’area dell’ex forno crematorio dell’ospedale vecchio di Pola. Da una parte scatole di cartone si animano celando sempre i performer, poco più in là il lavoro è tutto incentrato sul corpo di una ballerina vestita di bianco.
I will survive è una lenta costruzione di un mostro di cartone ideata e diretta da Giorgia Maretta ed Andrea Cavallari. La presenza umana (Andrea Rimoldi, Beatrice Sarosiek, Massimo Trombetta) resta sempre celata ma percepibile come energia che sorregge e muove la struttura, imponente e fragile nello stesso tempo. L’equilibrio sempre in bilico ed il tappeto sonoro, curato dallo stesso Cavallari, rendono questi scatoloni pulsanti, vitali, inquietanti quando sulla sommità della montagna-città costruita dai tre performer dominano, come un totem, un’antenna ed una ciminiera: simboli di una società che non sembra poter esistere in zone ‘senza campo’ e ormai sommersa dalle proprie scorie. Un originale marchingegno dalla fattura quasi infantile e molto divertente, raccoglie bottiglie di plastica che il mostro, ormai saturo, rivomiterà in forma di luci, andando a costruire uno skyline futuristico tutt’altro che promettente.
Anche se lo spettacolo è ancora da rodare, con alcuni momenti forse un po’ prolungati e alcune scelte registiche da rivedere – come il crollo della struttura nel finale, un po’ troppo prevedibile – la giovane compagnia ha il suo lato vincente in un’idea originale, coerente e di senso ed un apparato visivo che ha nei materiali poveri il suo punto di forza. In un panorama performativo e teatrale che ricerca, troppo spesso, un linguaggio innovativo fine a se stesso, altamente tecnologico ma svincolato da contenuti e realtà, gli scatoloni di Maretta e Cavallari sono tutt’altro che vuoti.
Pieni di immagini, risvegliate nella fantasia dello spettatore, di discariche, disastri ambientali, abusivismo edilizio e di un mondo sempre più in equilibrio precario, si percepisce, con piacere e partecipazione, che è stata la volontà di parlare di queste tematiche a determinare la ricerca del modo più efficace per comunicarle. E alla fine, infatti, per lo spettatore il titolo della performance prende, con timore e consapevolezza, un sinistro tono interrogativo: sopravviverò?
Drastico cambio di atmosfera per la successiva performance, Sinestesie Ambientali, ideata da Massimo David (Shadow Sync) e Valeria Mastropasqua (VisionAria). Mettendo in pratica, in quattro momenti e spazi dell’area di San Michele, il concetto di sinestesia – fenomeno percettivo in cui differenti sensi si contaminano tra loro – il pubblico è invitato in un primo momento a ‘sorseggiare’ uno spettacolo di danza verticale: chiusa nel suo bozzolo di licra bianca sospeso in un arco, la danzatrice dà prova non solo di capacità tecniche ma anche performative, non riducendo mai la coreografia ad una mera dimostrazione di virtuosismo, ma ricercando con uno sguardo infantile e sorpreso il pubblico, a cui sempre si rivolge. Accompagnata dalle sonorità interessanti e ricercate di Massimo David, la Mastropasqua si fa seguire dal pubblico, salendo su una cisterna per raccontare lo spazio che si apre di fronte a lei, per poi arrampicarsi su un terrazzino diroccato dove gusta una cena mostrata attraverso dei colori al pubblico. Il quarto momento, che chiude Sinestesie Ambientali, è un video che ripercorre gli spazi toccati dalla performance, teso a sottolineare l’aspetto ‘space specific’ del progetto: non uno spettacolo precostituito, infatti, ma un lavoro che si struttura e si ripensa per ogni luogo in cui viene allestito, analizzato nei suoi aspetti sensoriali più significativi che vengono poi riproposti in forma di suoni, danza, luci e immagini proiettate.
Nonostante un’idea di partenza altamente concettuale, la performance si lascia facilmente seguire da tutti gli spettatori: la Mastropasqua incanta con le sue evoluzioni e la sua forte presenza scenica. Ma l’aspetto multisensoriale resta un po’ in secondo piano nella percezione di un lavoro che ancora deve crescere, e la struttura itinerante ma senza un percorso chiaro disorienta un po’ il pubblico, che finisce per vivere i quattro momenti della performance come scollegati tra loro, a scapito di un più sentito coinvolgimento.
La prima croata preannuncia, comunque, interessanti possibilità di sviluppo in una direzione ancora più sinestetica e strutturata, ma senza rinunciare all’aspetto di improvvisazione e trasformazione di cui Massimo David e Valeria Mastropasqua hanno dato prova di grande capacità.
Visto a San Michele – ospedale vecchio, Pola (Croazia)
Silvia Gatto