Recensione a Fratto_X – di Antonio Rezza e Flavia Mastrella
Non chiamatelo attore, Antonio Rezza non si cala nei personaggi, non si immedesima, non partecipa. Non chiamatele scenografie, gli ambienti di Flavia Mastrella non sono asserviti alla drammaturgia. Di fronte al loro teatro, e alla loro arte, è più facile negare che affermare, perché non valgono categorizzazioni, non esistono descrizioni, è impossibile il racconto. Bisogna vedere come il corpo si muove, come il viso si deforma, è necessario sentire la voce, coglierne le alterazioni, seguirne i repentini cambiamenti. Di certo non si rischia di annoiarsi, ma Fratto_X, andato in scena al Teatro Vascello dal 4 dicembre al 6 gennaio, non è solo esilarante, si compone di una stratificazione di segni e di significati.
Il condizionamento arriva stavolta dalle fotografie che Flavia Mastrella ha scattato nell’autostrada in movimento, e che hanno portato alla realizzazione di ‘fasci luminosi della densità di un petalo di fiore’, uno su tutti il grande divieto suggerito già dal titolo. Le azioni e le parole nascono dalla residenza di Antonio Rezza in questo habitat, residenza che è durata più di un anno, che ha stimolato un violento processo creativo, che ha ospitato il corpo – ma non la voce – di Ivan Bellavista, che si è nutrita, prima del debutto, delle energie di occasionali visitatori, invitati a una serie di prove aperte.
Sono le luci di Mattia Vigo, virate nei toni del rosso e dell’azzurro, a illuminare l’ambiente artificiale, abitato da uomini comuni con nomi comuni, coppie litiganti, giovani vittime dell’ansia, madri asfissianti e poliziotti troppo inclini alle manganellate. Un lavoro sulla coercizione, sulla manipolazione, sull’appropriazione dell’altrui identità, che denuncia l’infermità mentale del pubblico televisivo, che accenna alla malasanità, che desacralizza i simboli religiosi.
Non mancano gli attacchi al pubblico, invitato a parlare e umiliato nella risposta, illuminato in finale di spettacolo da uno specchio riflettente, uno scettro che sembra dichiarare il potere dell’artista, essere disumano, sullo spettatore, costretto a pensare, obbligato ad agire.
Una macchina di ritmo, come descritta dalla coppia di artisti, sostenuta dalle architetture labirintiche della Mastrella (che guarda alle ricerche di Robert Morris, di Fausto Melotti e di Fluxus), e alimentata dai nervi e dal sudore dell’inesauribile Rezza.
Una performance scritta dallo spazio e dal tempo, una mostra continuativa di opere plastiche, un’esposizione temporanea di omologazioni culturali, semplificazioni esistenziali, spersonalizzazioni, umani annullamenti.
Visto al Teatro Vascello, Roma
Rossella Porcheddu