Approfondimento dell’incontro La scena di Claudia Sorace/Muta Imago
La domenica pomeriggio – soprattutto se fuori fa capolino il primo freddo autunnale e una pioggia insistente – si rimane solitamente in casa a poltrire, nostalgici già del fine settimana che si appresta verso la conclusione e con il pensiero di un nuovo lunedì lavorativo alle porte. Capita però che delle volte si passi questa giornata diversamente, magari ritrovandosi ad ascoltare cosa si muove sulla scena contemporanea teatrale.
E così il 18 ottobre, a Jesi, si è scelto di andare all’incontro La scena di Claudia Sorace/Muta Imago, per dimostrare come ancora oggi si senta il bisogno di parlare di teatro e di approfondire una conoscenza da cui si può sempre attingere bellezza.
Protagonista di questa domenica marchigiana è stata Claudia Sorace, regista della compagnia Muta Imago che, insieme al critico teatrale Gianfranco Capitta e al direttore dell’Amat – Associazione Marchigiana Attività Teatrali – Gilberto Santini, ha dato vita a una discussione circa il suo lavoro con il giovane gruppo romano.
Introdotta dall’Assessore alla cultura di Jesi Valentina Conti e dal direttore del Centro studi V. Moriconi Franco Cecchini, Claudia Sorace, non ancora trentenne, ha ricevuto il Premio Internazionale Valeria Moriconi “Futuro della scena”, che si prefigge di valorizzare il ruolo della donna sulla scena tra passato, presente e futuro, continuando l’eredità artistica e culturale dell’attrice jesina Moriconi. Se la prima edizione ha visto al centro dell’attenzione Isabelle Huppert con la consegna del Premio “Protagonista della scena”, con questo diverso riconoscimento alla Sorace non viene data una semplice targa, ma la possibilità di svolgere un programma di attività a Jesi e nel territorio. Proprio per questo i Muta Imago hanno trovato per un mese una residenza in uno dei teatri della Fondazione Pergolesi Spontini, potendo continuare a lavorare sul loro ultimo progetto: Madeleine.
La scelta del premio è ricaduta su Claudia «per la capacità di concepire un teatro che supera la parola drammaturgica e che si muove verso una totalità fatta di drammaturgia e scena visiva e sonora, in cui la rigorosa elaborazione intellettuale si prefigge sempre un obiettivo di empatia immediata con il pubblico».
Attraverso delle clip di alcuni estratti video tratti dai loro spettacoli (a+b)³, Lev, e il lavoro su Napoli. Primo passo nelle città di sotto – messo in scena proprio nelle grotte della città partenopea – la regista ha presentato la poetica che contraddistingue i Muta Imago rispetto ad altri giovani gruppi. Come ha infatti sottolineato Capitta, l’uso della parola porta questa compagnia ad avere una ‘dannazione’ in più: il risultato estetico raggiunto in scena non trascende mai il senso trovato attraverso un lungo processo di ricerca e maturazione. I materiali utilizzati non obbediscono solamente a una casuale fascinazione, ma hanno una precisa corrispondenza metaforica; è così che in Lev la farina presente in scena è l’elemento labile e leggero che si attacca o scivola via proprio come la memoria. Rimangono brandelli, suggestioni e vuoti di una storia che ogni spettatore ricrea autonomamente e soggettivamente nel proprio Io: si formano percorsi narrativi differenti, provenienti da un turbamento interiore, da un’esperienza che si è potuta vivere solo recandosi a teatro.
Ma con i Muta Imago lo spettatore, come precisa Santini, è sempre posto sotto assedio: c’è una conflittualità che prende sempre corpo, e proprio qui sta la bellezza. Con «un’artigianalità di teatro che si fa tecnica», questa bellezza racconta di una fragilità, è il tentativo di costruzione di fronte alla malinconica certezza che non c’è in realtà speranza di ricostruzione. Ma, come continua Claudia, «il fatto che io lotto per questa creazione mi riempie di senso, e ciò giustifica la mia esistenza».
Un interessante incontro pomeridiano quindi, conclusosi con la domanda di una simpatica signora che, da profana del teatro di ricerca, ha chiesto alla regista in tutta sincerità che cosa si dovesse aspettare da uno spettacolo dei Muta Imago. «Immagini di guardare fuori da una finestra, dove può vedere solamente immagini senza riuscire a sentire il sonoro intorno». Perfetto esempio fornito dalla Sorace per comprendere come il loro teatro sia uno sguardo che si spinge oltre il tangibile: stimola il coinvolgimento intellettuale dello spettatore che non deve fare altro che attendere l’uscita dell’ultimo lavoro Madeleine.
Visto al Teatro-Studio V.Moriconi, Jesi (An)
Carlotta Tringali