Recensione de L’intervista – regia di Valerio Binasco
Usciti dal Teatro Villa dei Leoni di Mira, paesino lungo la riviera del Brenta dove è andata in scena L’intervista, si ha la sensazione di avere spiato dal buco di una serratura le vicende intime di due anime sconfitte, di due persone ritrovatesi casualmente a condividere piccole affinità di vite trascorse sottovoce. Il talentuoso Valerio Binasco rilegge un testo scritto nel 1989 da Natalia Ginzburg e, oltre a firmarne la regia, veste anche i panni del giornalista romano protagonista. Pieno di ambizione e grande ammiratore del letterato Gianni Tiraboschi, il giovane Marco Rozzi si reca nella tenuta toscana del suo idolo per incontrarlo e intervistarlo: ma il padrone di casa è il grande assente dello spettacolo, nonostante quasi tutti i dialoghi riguardino lui. Nell’arco di dieci anni, tempo che scorre attraverso piccole proiezioni di date sul muro della scena, Rozzi si reca per ben tre volte in quella casa; e ogni volta si ritrova a parlare piacevolmente con la compagna di Tiraboschi: Ilaria, un’anima bella, dedita e fedele a questo suo uomo assente, interpretata da una meravigliosa Maria Paiato. In questi loro dialoghi risiede l’amabilità del testo: sono brillanti, pieni di ironia e di vitalità; merito ovviamente anche dei due attori che, affiancati a volte da una giovane e meno esperta Azzurra Antonacci, nei panni di Stella (sorella di Gianni), indossano la scena come solo due grandi personalità del teatro riescono a fare. Binasco e Paiato formano una coppia eccezionale, riuscendo a dare vita a una pièce fatta di piccole gestualità, restano per la maggior parte del tempo fermi e immobili, seduti su una poltrona o su una sedia.
Si entra così dentro la vita stessa di questo letterato sempre in giro per il mondo, grazie alle parole di Ilaria, di Stella e dello stesso Marco che incontrano con l’immaginazione la sua voce rugginosa, il suo balbettio, i suoi discorsi impegnati, le sue amanti, suo figlio. La conoscenza che si ha di lui non rimane superficiale, è approfondita, grazie soprattutto ai racconti di chi gli ha dedicato tutta la vita, con sacrificio e amore, come un’amante inappagata. Rinunciando al sogno di andarsene in Australia, Ilaria resta infatti per tutta la sua esistenza lì, in quella casa fatiscente e diroccata, sperduta, in una campagna dove l’atmosfera sembra sospesa e la realtà completamente distaccata da quella cittadina. Abituata a vivere all’ombra del suo partner, questa donna trova, nella compagnia fortuita del giovane giornalista, l’occasione di evadere, almeno una volta, da quella sua esistenza silenziosa, trascorsa in disparte e in solitudine; ha voglia di raccontare, di parlare ma anche di essere ascoltata. Perché spesso si riesce a trovare grande affinità con persone che non si conoscono, entrando subito in sintonia e condividendo piccole intimità, piccoli sogni su cui si aggrappano queste vite segnate dalla precarietà e dalla casualità.
La semplice scena realizzata da Antonio Panzuto diventa funzionale alla trama, sposandosi perfettamente con il testo; il giornalista scende le scale continuamente quasi a simboleggiare il continuo scavare nel profondo della personalità del Tiraboschi. Solo durante l’ultima visita, passati dieci anni, Rozzi sale le scale, avvicinandosi all’ultima porta posta in alto, dietro a cui si trova il letterato: è il momento in cui avrebbe potuto intervistarlo, momento tanto desiderato in gioventù, ma che è arrivato troppo tardi, quando, un ormai stanco e provato Rozzi, non lo cerca più.
Visto al Teatro dei Leoni, Mira (Venezia)
Carlotta Tringali