Recensione a La caccia – Luigi Lo Cascio
Nota come la tragedia delle donne folli travolte dall’entusiasmo del dio del teatro e del piacere, Le Baccanti di Euripide tratta soprattutto della cruenta vendetta di Dioniso nei confronti di Penteo, re di Tebe, il quale patirà umiliazione e morte per non aver riconosciuto le origini semidivine del cugino. Penteo dà la caccia a Dioniso e lo arresta. È anche, però, desideroso di spiare le donne tebane compiere i riti bacchici, e viene convinto dal dio a travestirsi da donna per salire sul monte dove verrà squartato e ucciso dalle baccanti e – prima tra tutte – da sua madre.
Luigi Lo Cascio con La caccia filtra la tragedia euripidea con il suo sguardo sensibile e sceglie di mettere in luce la figura dell’antagonista, ma anche vittima della vicenda: Penteo. L’attore propone una visione intima del re: mostra un personaggio deciso, tremendo e sfrenato, ma anche vulnerabile e sensibile. La regia rende visibili gli incubi di Penteo, le premonizioni, esplicita i desideri nascosti e mostra il re anche nella sua dimensione folle e tenera, quasi infantile. Penteo desidera catturare l’idea stessa del “dionisiaco”, imprigionarla, ma sulla sete di controllo vince la curiosità, la bramosia di avvicinarsi a questa visione, di toccare l’esperienza della libertà oltre ogni regola e finalmente lasciarsi cadere nel vuoto dell’oblio. È il re tebano a scegliere la propria fine: piacere e morte insieme. “Seppure proverò un grande dolore, vorrei sorprenderle in stato di ebbrezza” dice Penteo-Lo Cascio. Indimenticabili le lunghissime e grandi braccia – disegnate con il gessetto – che si tendono verso la testa dell’attore: sono della madre, Agave, che sta per dargli inconsapevolmente la morte.
Molte le scene poetiche e oniriche, grazie anche ad Alice Mangano e Nicola Console che firmano scene, disegni e art direction, in uno scenario mutevole ed efficace, elegante e profondamente teatrale nonostante l’uso di nuove tecnologie. Gli ammirabili monologhi di Lo Cascio sono folli e brillanti e svelano i moti interiori contrastanti del sofferente re tebano. (Nel 2008, con La caccia, Lo Cascio vince il premio Hystrio all’interpretazione.) Il regista, anche se unico attore fisicamente in scena, non è l’unico interprete dello spettacolo: il piccolo e bravissimo Pietro Rosa è il primo vero referente dello spettatore. Il giovane attore compare solo in video, calato nella figura di un dotto critico che vuol introdurre e spiegare la tragedia agli spettatori, ma è anche parte della tragedia stessa, è Dioniso: in dialogo e interazione con l’attore in scena. Gli interventi critici del video inframezzano le performance dal vivo dell’ottimo attore, tra le quali, inoltre, acutamente, si inseriscono – a creare uno straniamento ad intermittenza – degli spot televisivi esilaranti che ironicamente esemplificano, condensandole, le debolezze dell’uomo moderno nella sua fatua ricerca della felicità nel raggiungimento di vuoti modelli sociali.
Il linguaggio de La caccia è ricco ed elegante, seppur molto vario: densa presenza attoriale, essenziale ed efficace scenotecnica, disegni dal vivo (con il gessetto) e video d’animazione, uniti a videoarte e suoni elettronici, trasformano la tragedia euripidea in un viaggio organico e visionario completo di un mondo immaginario intenso e moderno. Morte e sofferenza, incubo e desiderio sono fusi in linguaggi teatrali innovativi e tradizionali, in un risultato memorabile, dal quale emerge – non del tutto estinta – l’atmosfera del mito che nutre i nostri sogni.
Visto al Teatro Elfo Puccini, Milano.
Agnese Bellato