Recensione a Internal – Ontroerend Goed
Volete un teatro travolgente, che vi sconquassi lo stomaco, tolga le vostre certezze e vi faccia scoprire la vostra natura? Tutto questo è Internal, spettacolo – vincitore del Fringe First e dell’Herald Angel Award al festival di Edimburgo 2009 – del team belga Ontroerend Goed. Il collettivo di artisti da anni coltiva la ricerca di un teatro che affronti con sempre maggiore intimità il rapporto performer e spettatore, privilegiando il frutto che può emergere da questa interconnesione fondamentale, senza la quale non c’è teatro.
Ospiti all’Uovo Performing Arts Festival 2010 (manifestazione ogni anno più breve, a causa dei tagli imposti dai tempi bui dell’economia e della cultura italiana), gli Ontroerend Goed propongono uno spettacolo che è un vero e proprio appuntamento: ogni mezz’ora, cinque spettatori alla volta vengono fatti disporre sopra delle X bianche sul pavimento, di fronte a una tenda nera. La tenda sale ed ognuno trova davanti a sé il proprio potenziale partner. Gli sguardi si incontrano e si scelgono. Tacitamente vengono formate le “coppie”, da ora il confronto avviene a due, in luoghi appartati e accuratamente predisposti per essere confortevoli con tanto di tavolini, luce soffusa, ottimo vino e musica. Viene creato un rapporto estremamente intimo, un gioco in cui ogni performer accompagna il proprio partner, se ne prende cura, lo studia, lo interroga e lo invita a cercarsi. Il confronto, poi – senza preavviso –, diventa collettivo: tutti vengono disposti in cerchio su delle sedie, come in una seduta di psicoanalisi di gruppo, in cui i performer sono i primi a introdurre gli spettatori uno all’altro, ma poi coivolgono e cedono la parola ai loro “ospiti”. Gli Ontroerend Goed creano con abilità e delicatezza un’occasione di scoperta, è un momento, per ogni spettatore, di mettersi in gioco come protagonista di uno spettacolo – di questo spettacolo – parlando di sé e del rapporto con l’altro, guardandosi negli occhi tra sconosciuti. È l’occasione in cui scegliere se essere aperti e trasparenti, restare dietro la propria quotidiana maschera (il proprio “ruolo”), oppure di essere chiunque altro. Teatro, quindi, che dà la possibilità di essere ciò che si desidera, di restare ciò che si lascia apparire, o essere veri, in un modo mai prima immaginato. Infatti attraverso il riscontro che si ottiene dagli altri, si può delineare una nuova visione di se stessi, sorprendente.
Rispetto alla maggior parte delle forme teatrali, in performance come Internal, ogni fruizione è ancor più personale e irripetibile: il protagonista è ogni spettatore ed è impossibile tirasi indietro o non rispondere, perché di lui e con lui parleranno i performer. È lui l’argomento dello spettacolo.
La performance collettiva proposta esce dalle peculiarità teatrali tradizionali. Anzi è un teatro che non è più – o almeno non solo – “luogo della visione”, ma tende anzi a coivolgere sempre più fisicamente ed emotivamente il pubblico, in una oramai non più nuova corrente di teatro che punta soprattutto al coinvolgimento diretto dello spettatore, spesso “singolo” cioè “unico”. Basti pensare al Teatro del Lemming o al Teatro de Los Sentidos, realtà che hanno messo al centro delle loro priorità la personale percezione dello spettatore.
Non mancano incomprensioni o provocazioni in Internal, né risate, balli e abbracci. Ma la mezz’ora del turno è già passata: ognuno viene accompagnato sulla propria X bianca. Da qui è sufficiente uno sguardo per salutarsi e ringraziare dei volti sorridenti. La tenda nera scende, separando nuovamente le due realtà. Il gioco e la magia finiscono e icinque spettatori, non più estranei tra loro, ora si guardano e sorridono, trasformati da questa esperienza. Cambiati, forse, da un teatro che lascia adrenalinici, con un groppo allo stomaco, con la voglia di ricominciare nuovamente, comprare un altro biglietto (come più di qualcuno farà) e con la sensazione di aver condiviso davvero un’esperienza intoccabile e indimenticabile con gli spettatori al proprio fianco.
Visto al Teatro dell’Arte, Milano.
Agnese Bellato