La sessione mattutina del secondo giorno del convegno di Teatro in tempo di crisi si struttura in modo del tutto particolare: un critico teatrale e docente universitario, Andrea Porcheddu, sempre muovendosi fra teoria e prassi, accompagna il pubblico nell’esplorazione delle zone più liminari della nuova drammaturgia veneta e non. I protagonisti di questa mattinata sono gli artisti che occupano, ognuno a modo loro, la scena con frammenti dai propri lavori e si soffermano – prima e dopo la “dimostrazione” – qualche momento a colloquio con il pubblico. Gli interventi di Porcheddu, lungi da collocarsi semplicemente a commento delle estetiche o dal farsi mera connessione fra le diverse poetiche, offrono una varietà di spunti di riflessione capaci di mettere in relazione lavori e idee di teatro così differenti come quelle che si sono susseguite stamattina sul palco del Teatro “Giovanni Poli”. Nell’ordine, sono stati presentati il lavoro di Anagoor, con un video capace di far entrare lo spettatore nei differenti progetti della compagnia, da Orestea a *jeug- al celebre Tempesta; poi la narrazione esplosa di Oscar De Summa, che fa cortocircuitare racconto autobiografico con le più disparate citazioni tratte dall’immaginario collettivo; la “scrittura in azione” di Giuliana Musso, che ha presentato due monologhi tratti dal suo recente Tanti saluti, spettacolo sul tabù della morte fra documentario e clownerie; le reinvenzioni dei personaggi a fondamento della cultura occidentale scritte ed interpretate da Paolo Puppa, che oggi ha letto una pièce sul celebre Innominato manzoniano, personaggio che fuoriesce dal romanzo tradizionale per darsi finalmente voce da solo, al di là delle “finzioni” volute dal suo autore; la letteratura teatrale di Tiziano Scarpa, che in una performance straordinaria ha immaginato che Leopardi piombasse per caso, nel 2009, a casa di uno studente che sta preparando gli esami di maturità sul suo Infinito; e, per finire, venti minuti di Dux in scatola, spettacolo dalla messinscena travolgente (per l’interpretazione e per i temi), in cui Daniele Timpano è alle prese con un'”autobiografia d’oltretomba di Mussolini Benito”.
La premessa, in cui Porcheddu indicava, fra l’altro, come le nuove scritture per il teatro vivessero di un vivacissimo ed originale impasto con la pratica scenica è dimostrato e ripreso ad ogni passaggio performativo: si tratta di autori che scrivono per determinati interpreti (che spesso coincidono con loro stessi) e i cui testi non trovano nella messinscena una semplice verifica, ma l’innesco stesso della creazione drammaturgica. I nuovi testi, dunque, sono scritti per la scena (e non solo per la pagina) e vengono profondamente trasformati da essa. I nodi che ritornano, in questo panorama quanto mai variegato del nuovo teatro, si trovano nella pratica del montaggio di materiali diversi (siano essi poetici, biografici, documentari o citazioni), nella capacità, pur varia, di condurre il tradizionale teatro di narrazione verso linguaggi e codici del tutto inediti, e in un rapporto del tutto particolare con la realtà, in senso tematico e/o metodologico, che ognuno poi declina secondo la propria estetica.
Il percorso di Anagoor – portato dal regista e fondatore del gruppo, Simone Derai – consiste nell’approdo a un lavoro sulle immagini, le cui radici si trovano in un serratissimo confronto, durato ben tre anni, con uno dei testi fondamentali dell’Occidente teatrale, l’Orestea di Eschilo, la cui messinscena integrale è stata creata attraverso il confronto con le sue differenti versioni, fino addirittura ad una traduzione originale da parte della compagnia. Oscar De Summa, proponendo un frammento dal primo passaggio della sua trilogia sullo sradicamento, racconta delle diverse modalità compositive esplorate nella sua esperienza autoriale: dalla narrazione comincia tout court alla frammentarietà alla strutturazione in quadri, fra prospettiva auto-biografica, citazioni le più varie e compresenza di diversi linguaggi, nel contesto di una ricerca intorno al portare in scena “quel cortocircuito in cui continuamente viviamo”. Giuliana Musso si (auto)colloca in una dimensione similare: pur rifiutando il ruolo di scrittrice a favore di quello di attrice, dà vita, in scena, a personaggi ibridi (impossibili da definire narratori o personaggi in senso tradizionale), che si muovono fra documentario e racconto e che sono il frutto di lunghissimi periodi di ricerca, i cui materiali sono poi filtrati fino alla messinscena. Il lavoro di Paolo Puppa spesso si concentra su personaggi fondamentali dell’immaginario occidentale (estratti da testi mitologici, biblici, letterari), dunque ben noti al pubblico, che l’autore-performer trasforma, cala nell’attualità e fa così parlare in modo nuovo. L’intervento di Tiziano Scarpa è utile ad approfondire alcuni dei temi scottanti della drammaturgia contemporanea e della sua crisi, come le tante sfaccettature ed implicazioni del rapporto fra scrittore e regista. Infine Daniele Timpano, fra i maggiori esponenti degli autori-attori contemporanei, con un frammento di Dux in scatola dimostra quelle linee di continuità e di rottura che fino a quel momento si erano soltanto affacciate nel dibattito intorno ai caratteri della nuova scrittura teatrale: una pratica di montaggio “spregiudicata” che intreccia materiali dalle provenienze più disparate (dalla grande Storia d’Italia alle micro-storie individuali) e fa cortocircuitare le identità in scena (quella del personaggio, Mussolini, con quelle dell’autore e dell’attore). Ma la performance è esemplare anche in senso tematico, parlando di un teatro che vive di un rapporto del tutto speciale e inedito con la realtà di cui fa (e vuole a tutti i costi fare) parte: nella collezione e nel montaggio dei suoi materiali, ma anche nella scelta dell’argomento e nel rapporto col pubblico e con il suo immaginario, così come nel frequente tentativo di farsi carico di momenti o elementi perduti della memoria collettiva, siano essi l’omicidio del Duce, la concretezza della grande poesia e della letteratura, i tabù della morte, i caratteri e i gesti dell’esistenza umana.
Roberta Ferraresi