Recensione a Fine Famiglia – Animanera
È la famiglia italiana al centro di Fine Famiglia di Animanera, con le sue ipocrisie, contraddizioni e consolidate dinamiche. La “madre” che usa l’amore come arma di ricatto, che elemosina affetto e complicità nei figli come dovuta ricompensa ai sacrifici di una vita. La “figlia”, eterna e irritabile ribelle, dichiarata ex bulimica e autolesionista che vuol sempre creare disagio, per non ammettere di aver solo bisogno di attenzione. Il “figlio”, ipersensibile e sociofobico, che fa il supplente a scuola e insegna ai bambini a disfarsi dei genitori, perché – dice lui – solo gli orfani riescono a sviluppare capacità da supereroi. Infine, la figura del “padre”: marito infedele, uomo saccente e genitore superficiale, che non riesce a dialogare con i figli, ma si illude di essere moderno perché cerca di far parlare l’inglese alla famiglia. Il testo della giovane Magdalena Barile – terzo lavoro che firma per la compagnia milanese – è acuto, spiritoso e non banale, nonostante il facile rischio di calcare cliché universalmente noti. E il quadro, creato dalla divertente regia di Aldo Cassano, è vicino al pubblico (complici i rimandi sonori del mondo televisivo di vent’anni fa e non solo), coinvolge e crea risate contagiose, puntando con ironia – nonostante l’innocua apparenza – a far riflettere su lati a volte trascurati delle vicende familiari oggi, o comunque a riderne.
La vera protagonista rimane lei, la mamma (una brava Debora Zuin): diabolica e santa, martire e accentratrice, ignorata, bistrattata e tuttavia onnipotente capofamiglia, capace persino di far sparire la porta di casa con una preghiera. È la mamma l’unica disposta a mettere in campo tutto il suo potere pur di tenere insieme il nucleo familiare, nonostante tra loro sembra ci sia solo incompatibilità.
Fine Famiglia è infatti l’ultima cena – la sera di Natale –, l’occasione in cui i componenti della famiglia, dopo tanti anni di forzata e insopportabile convivenza, decidono civilmente e di comune accordo di dirsi addio.Ma la mamma, nel tentativo di non lasciarli andare, tenta infine l’entusiasmante “magia degli zuccheri” che rende tutti temporaneamente affabili e felici (l’arma del dolce-fatto-in-casa che ogni madre sa bene quando sfoderare). Vano tentativo: una volta digerita – o vomitata – la porzione di torta ammaliatrice, la lucida esigenza di evadere torna impellente. Tutto come prima.
Visto al Teatro PIM Spazio Scenico, Milano.
Agnese Bellato