Recensione a ESSEDICE – I Sacchi di Sabbia
Se mio padre morisse. Non è un interrogativo. Tutte le vite finiscono, e l’unica cosa che resta è il nostro modo di ricordare qualcuno, di sentirlo ancora vicino.
ESSEDICE è questo. Lo spettacolo è stato tratto da S. di Gipi (Gianni Pacinotti), fumetto ispirato alla figura del padre – Sergio appunto – e proprio come il fumetto è un modo per ricordare, un modo per guarire da quella «malattia da cui sono affetti gli esseri umani che è subire lo scorrere del tempo».
Un uomo e una scatola. Gipi e quello che resta delle ceneri di suo padre. È da qui che parte la narrazione; narrazione, ma in realtà non è la storia della vita di ESSE, ma sono le sue storie: ricordi che ESSE raccontava in continuazione, mille volte a tavola, in macchina, tra amici e parenti. Episodi che cambiano col tempo, dai contorni sfocati come un acquarello. Il racconto non inizia con “c’era una volta”. Non è una storia al passato ma bensì al presente. «Esse dice che la guerra… Esse dice come si pesca… Esse dice che che si è rotto le palle di stare al mondo». In scena Gipi con una scatola di cartone tra le mani, un feticcio che non smette di torturare. Seduto con un sorriso incerto tra l’imbarazzato e l’ironico, parla di ESSE. Dietro di lui si materializzano personaggi stilizzati – la famiglia di Gipi e Gianni stesso quand’era bambino – rivivono in scena, grazie alle maschere di Ferdinando Falossi: un passaggio quello dal fumetto alla scena, che grazie all’arte della maschera, risulta semplice ed efficace. La maschera riporta in vita i morti che, come nell’antica Grecia, parlano ai vivi. Un incontro commovente e sincero.
L’ora di spettacolo scorre veloce, la struttura è semplice, la presenza scenica del narratore è forte e carismatica, gli attori reggono un ritmo scenico scandito. Il tratto incerto e stilizzato del fumetto si trasforma in movimento, l’immagine acquarellata della carta prende forma e si sfuma in scena dietro tulle che ricordano le pagine bianche dell’illustrazione. La regia de I Sacchi di Sabbia è leggera e perspicace nel lasciare libero spazio al narratore. Gianni Pacinotti non interpreta un personaggio. Non è un attore, è la parte della storia che ancora persiste. Ecco allora che il suo stare in scena è una continua improvvisazione sui ricordi o piuttosto sui sentimenti. Questa libertà in scena dona freschezza ad uno spettacolo che ogni sera è diverso, che diverte il pubblico e lo commuove.
Visto a Primavera dei Teatri, Castrovillari
Camilla Toso