Presentazione della masterclass di Susanne Linke.
Susanne Linke, con una borsetta rossa a tracolla strizzata, sorride pacata come una tartarughina mentre Ismael Ivo la presenta al pubblico, più numeroso del solito, venerdì 22 maggio al Teatro Piccolo Arsenale. «Linke», spiega Ivo, «viene dalla mano di Wigman e Bausch», lanciando la palla alla coreografa tedesca a cui chiede di spiegare le origini storiche della danza espressionista e del Tanztheater. Ripercorrendo a grandi linee la propria esperienza come danzatrice e coreografa, Linke affonda il dito nella Germania degli anni ’50 invalidata dalla Seconda Guerra Mondiale, rifugiata nella linea brillante e “superomistica” del balletto classico. In questo contesto di negligente conservazione culturale il Tanztheater ha provocato un infarto sociale: il lavoro di introspezione a partire dalla semplicità disadorna del corpo quotidiano è stato un boccone amaro da inghiottire, appello vivo a una società irrigidita che non voleva vedere né sentire la carne viva sotto la pelle. Non è stato facile, per le linee di ricerca coreografica che riuniamo sotto il minimo comun denominatore di “Tanztheater”, trovare una piega accogliente all’interno della cultura tedesca, e soprattutto conquistarsi una cornice di legittimità tra gli operatori teatrali. Tra gli anni ’60 e ’70 è il perno della svolta, con un crescente sostegno di pubblico e critica: in questo periodo Linke entra nella compagnia di Pina Bausch, per poi proseguire lungo una direttiva coreografica propria.
Oggi, momento in cui più che mai il danzatore/coreografo deve guardare con coscienza al passato prima di mettere i piedi nel domani, l’Arsenale della Danza ha invitato Susanne Linke a tenere una masterclass di due settimane per gli allievi di Ismael Ivo. Una masterclass “per” e “con” i ragazzi, in cui si crea un circuito di comunicazione collettiva dalle forti sospensioni personali. Linke rifiuta le grandi drammaturgie, le tematiche imponenti che crollano dall’alto come soffitti pericolanti, per concentrarsi su ciò che è piccolo, palpabile, quotidiano, piuttosto che sulla sofisticazione di partiture astratte. Avendo cura di non dare volume a sfumature patetiche, eccessive, la coreografa stimola i danzatori a cercare se stessi nello spazio e nel gesto, valorizzando le proprie possibilità espressive senza deragliare verso derivevirtuosistiche o puramente estetiche. Si usano pochi elementi, nudi, freudianamente “ricchi di affetti”. La scena è vuota, le quinte sono sparite, la fila di specchi sul fondale è stata girata: se ne vede solo il dorso nero. La presentazione dei ragazzi comincia con l’elaborazione di un’improvvisazione già avviata con la coreografa che ha preceduto Linke, Geyvan McMillen. La seconda parte è una coreografia della stessa Linke che si fonda sui principi complementari di yin e yang: l’intero gruppo si muove in un unico abbraccio coreografico, percorrendo il palco con lunghe scie migratorie in cui la partitura gestuale è modulata dalla respirazione collettiva. I ballerini, doverosamente attenti alle interferenze delle risonanze cromatiche, sono vestiti con i consueti abiti da prova, ma stavolta in bianco e nero. Il respiro dei danzatori graffia aritmicamente l’aria. Non una nota di musica.
Visto al Teatro Piccolo Arsenale, Venezia.