Artisti al convegno di Teatro in Tempo di Crisi
Daniele Timpano, giovane autore-attore romano, ha abituato il pubblico a curiose performances, in cui certo, la parola è al centro dello sviluppo drammatico, ma non si tratta di testi tradizionali: quella di Timpano – dalla grande Storia in Dux in scatola, alla saga popolare di Mazinga in Ecce robot! – esiste e vive in scena esclusivamente in quanto parola incarnata. I suoi sono testi composti a partire da frammenti (documentari o biografici, in un intenso intreccio in cui è impossibile distinguere pubblico e privato), esplosi, re-impastati, riassemblati e cuciti addosso all’interprete, che è anche ideatore e autore dei suoi spettacoli, all’insegna di una lunga tradizione d’attore-artista tutta italiana. Anche Giuliana Musso, giovane eccellenza del teatro del Nordest, prende in carico l’autorialità, assieme all’interpretazione dei suoi spettacoli. E, anche se in maniera del tutto diversa da Timpano, nei suoi lavori si intravvede, similmente, una particolare predilezione verso il reale. Qui come altrove, dopo tanti anni di post-teatro, non si tratta di una relazione quieta e lineare, ma negli spettacoli della Musso la realtà irrompe con forza, conducendo lo spettatore a confrontarsi con temi-tabù del contemporaneo, che spesso vengono accantonati dalla quotidianità, come la morte in Tanti saluti o la prostituzione nel recente Sexmachine. Per chi segue il lavoro di Anagoor, ensemble emergente di Castelfranco Veneto (segnalazione speciale Premio Scenario 2009), la loro presenza, a un convegno di drammaturgia, può sembrare strana: negli spettacoli più visti, infatti, non c’è traccia di drammaturgia tradizionale, di dialoghi e di battute, e men che meno di quelle unità drammatiche che furono e sono canoni per tanta scrittura occidentale. Teatro immagine – si direbbe, con una formula ormai un po’ antica – in cui, quasi, non si fa parola. Ma la stratificazione della ricerca di Anagoor, così complessa, ampia e trasversale, seppur ricondotta in scena soprattutto attraverso la potenza delle immagini, non ha molto a che vedere con quelle esperienze teatrali in cui si proponevano carrellate di visioni connesse tramite l’unicità della poetica dell’autore. Anzi: il lavoro di questa giovane compagnia è fortemente radicato nella realtà (senza per altro dimenticare l’intensa attività di promozione e diffusione teatrale sul territorio di cui sono promotori) e sembra, più che altro, tentare di entrare in contatto col passato comune e provare a restituirlo, in varie forme, alla memoria collettiva degli spettatori. Anche il lavoro di Oscar De Summa, fra i più interessanti autori-registi-interpreti della sua generazione, si colloca in un percorso di riscoperta e di riproposizione di un canone: se in Timpano e nella Musso è l’autore-attore, mentre negli Anagoor la potenza visiva dell’immaginario collettivo, in De Summa si trova, negli ultimi lavori, una ricerca rigorosissima intorno ai pilastri della cultura occidentale, soprattutto Shakespeare.
Scene in frantumi, prospettive caleidoscopiche, ricerca sulla soggettività interpretante – non sono soltanto questi spunti estetici ad avvicinare naturalmente i percorsi di alcuni artisti di quella generazione che ha vissuto, ad esempio, l’avvento dei social network, della tecnologia digitale e delle soap-opera di seconda generazione. Quello che portano in comune queste diverse poetiche ed estetiche, così lontante eppure così vicine fra loro, non è nemmeno solo l’impossibilità di essere avvicinate a un canone teatrale (passato, presente, futuro) riconoscibile: non è teatro di narrazione quello di Timpano e della Musso, non è regia critica quella di De Summa e non si tratta di teatro-immagine per Anagoor. O almeno, non solo. Tutti vivono di un particolare rapporto nei confronti del reale. Si potrebbe parlare di post-realismo, di materialismo esploso – le definizioni si sprecano e stanno sempre strette. In ogni caso si tratta di creazioni composte a partire (e per) interpreti specifici, sbozzate e concretizzate su di loro (e in alcuni casi la scrittura si contamina anche direttamente con l’improvvisazione e la ricerca performativa),
anche se questo non implica che non possano essere assunte e rappresentate da altri. E, come in risposta alle accuse apocalittiche di Baudrillard, sembrano offrire una seconda chanche al mondo attuale in cui tutto è virtualizzato: se la televisione ha ucciso la realtà (questo teorizzava il celebre filosofo francese negli anni Ottanta, proprio mentre questi giovani artisti crescevano e si formavano) e il cinema ha surclassato la teatralità, forse, allora, è compito del teatro prendersi in carico la ricostruzione possibile del rapporto dell’uomo con il reale, al di qua e al di là della scena, tanto nel processo compositivo che nella scelta delle tematiche e dei dispositivi drammaturgici. Non si può dire se sia per queste ragioni che la parola sta tornando (tanto negli spettacoli, quantonegli studi) al centro del dibattito sulla performatività. Però è indiscutibile un particolare momento per il teatro contemporaneo, soprattutto a Nordest (ma non solo). E in questo è possibile intravvedere l’individuazione, del tutto empirica e varia, di un nuovo ruolo per lo spettacolo dal vivo che, a quanto pare, forse può funzionare.
Roberta Ferraresi
Su ECCE ROBOT di Daniele Timpano segnalo anche il promo video: http://www.youtube.com/watch?v=kIM3LuXga58
E poi c’è questa intervista video che non è male:
http://www.muvideo.biz/play.php?vid=873