Se ogni spettatore diventasse co-produttore diretto di uno spettacolo, cosa succederebbe al mondo del teatro?
Un’utopia, un sogno, una grande opportunità: questo è quello che sta cercando di realizzare E.S.P. esperimenti scenici permanenti, un giovane gruppo di formazione eterogenea, con sede a Venezia, che da novembre ha iniziato la sua attività teatrale e produttiva.
Prima ancora dei risultati, quel che attrae l’attenzione è il procedimento verso la realizzazione – sebbene questo collettivo sia appena nato parte subito con un’idea innovativa quanto semplice e stupefacente. Alessia Zabatino e Pierpaolo Comini propongono un metodo produttivo decisamente non convenzionale: la produzione dal basso. Per realizzare il loro spettacolo, incentrato su testi di Ballard, sono ricorsi ad una vera e propria sottoscrizione popolare, mettendo in pratica le ultime teorie in fatto di economia, comunicazione e sostenibilità di un progetto culturale. Una volta stabiliti i fondi necessari alla realizzazione dello spettacolo, il capitale necessario alla produzione culturale viene suddiviso in micro capitali «i quali non verranno conferiti da un unico soggetto finanziatore, ma dai futuri spettatori dello spettacolo».
Una nuova strategia di raccolta fondi e finanziamenti che non era mai stata applicata nel campo delle arti performative. Il metodo della produzione dal basso, infatti, è già stato usato in Italia dove è stato brevettato nel 2005 con l’apertura della piattaforma orizzontale www.produzionidalbasso.com, uno spazio internet libero e dedicato a progetti auto-finanziati. La produzione dal basso ha avuto successo soprattutto nell’ambito cinematografico, è arrivata sotto i riflettori con il caso de II lupo in calzoncini corti, documentario volto a far conoscere l’universo delle famiglie gay. In questo caso la quota di produzione corrispondeva alla prevendita del dvd che sarebbe stato inviato al co-produttore una volta finito. Ma nel caso di uno spettacolo – per definizione effimero – è davvero difficile “pre-vendere” qualcosa di cui non si può sapere il risultato.
La struttura del progetto prevede anche questo: rendere partecipe il co-produttore nella fase operativa è un passo fondamentale per la realizzazione del progetto. E.S.P. nasce come un laboratorio di sette mesi che forma un team di aspiranti attori, tecnici e scenografi per arrivare alla messa in scena di uno spettacolo. In quest’arco di tempo una serie di prove aperte, newsletter, e incontri tiene aggiornati i co-produttori sull’attività del gruppo. Tra i costi da sostenere vi sono principalmente i costi di produzione dello spettacolo, non vi rientrano i costi del laboratorio di sette mesi, né tanto meno stipendi.
Per ridurre i costi al minimo sono nate alcune interessanti collaborazioni con il S.a.L.e Docks – uno spazio autogestito ormai simbolo della comunità studentesca veneziana – che ospita le prove e la rappresentazione finale – e con Rebiennale un progetto che utilizza i materiali di scarto della Biennale per riutilizzarli in progetti architettonici e artistici. Tenendo ben stretto il budget ai costi di produzione e cercando altre fonti per il sostentamento del gruppo, gli organizzatori sono riusciti ad ottenere una quota di soli 12 euro a persona, per un totale di 177 quote. Ovviamente la cifra non è stata ancora raggiunta, ma speriamo non tarderà ad esserlo. Si tratta certamente di un esperimento che deve essere ancora brevettato e collaudato ma merita di avere una chance.
Le porte che aprono questo tipo di produzione sembrano, infatti, molte. Prima di tutto quella di un teatro sostenibile, anche solo in piccola scala questo metodo consentirebbe a una moltitudine di giovani compagnie di autoprodursi senza dover cercare appoggio in enti esterni. Basando i suoi principi sulla fiducia del co-produttore, sulla trasparenza e sulla comunicazione diretta, il rapporto produttore-artista diverrebbe un importante legame aumentando anche la consapevolezza dello spettatore nei confronti stessi dell’arte.
Certamente ci sono anche i dubbi sull’effettiva riuscita a lungo termine di un progetto del genere, ma trattandosi di un primo esperimento in campo teatrale, possiamo sicuramente pensarlo integrato ad altri sistemi di produzione come premi e concorsi, che magari eviterebbero “la corsa” al finanziamento pubblico che vede tante giovani compagnie mutare la loro produzione in base al tema dell’anno. Rendere uno spettacolo totalmente libero da ogni tipo di mecenatismo oltre ad essere una fantastica utopia potrebbe rivelarsi realizzabile, fattibile e di vitale importanza per il sistema teatrale italiano.
Camilla Toso