Durante le giornate del Festival Primavera dei Teatri di Castrovillari abbiamo “sottoposto” ad artisti e operatori teatrali, disponibili, un sondaggio per gioco ma anche per riflettere un poco sul nostro vivere a cavallo di due secoli. Prendendo spunto dall’articolo che Renato Palazzi ha scritto per Linus circa cosa possiamo definire prettamente novecentesco e cosa invece pensiamo possa appartenere al nuovo millennio, ci siamo aggirati tra Protoconvento, Ufficio di Scena Verticale, Chiostro, Teatro Sybaris, Sala 14 e posti di ritrovo – che uniscono la convivialità e favoriscono anche la disponibilità a mettersi in discussione – per capire un po’ come le persone concepiscono alcuni fattori teatrali.
In modo scherzoso abbiamo stilato una lista con una quarantina di voci riguardanti esclusivamente il mondo teatrale definendo “D.O.C.” ciò che poteva essere inserito a pieno titolo nel Novecento – e quindi anche sepolto in quel secolo densissimo ma ormai defunto – e facendo appello al termine “O.G.M.” per tutti quegli elementi formatisi negli ultimi dieci anni o magari nati nel ‘900 ma che si sono evoluti e possono rientrare a pieno titolo nel 2000. Nel fare il sondaggio però ci siamo spesso chieste se ci sono davvero organismi evolutisi con l’arrivo del nuovo millennio o invece ciò che viene proposto nel nuovo secolo non sia piuttosto una ripetizione di ciò che si è già largamente distinto nel ‘900. Di fronte a diverse voci infatti i partecipanti al gioco si sono posti le stesse domande: per esempio alla voce ironica di «abiti neri e piedi nudi», dopo aver risposto immediatamente «Novecento», in molti si sono soffermati sul pensiero che in realtà ancora oggi tanti artisti utilizzano questa convenzione. Stessa cosa per la voce «il collettivo»: definita come tipicamente “D.O.C.” ha suscitato subito dei dubbi, in quanto diversi sono i gruppi nati nel nuovo secolo che adottano questa forma. Un sondaggio quindi che ha diviso e suscitato spesso la risposta «proprio non saprei» come di fronte alle voci «performer», figlio legittimo del ‘900 ma che sembra essere tornato a gran voce nel 2000, spodestando gli attori che invece escono dalle «Accademie Teatrali». Accademie collocate dalla stragrande maggioranza degli intervistati nel secolo scorso, senza possibilità di riscatto; solo poche voci fuori dal coro sottolineano come in realtà di queste ci sia estremamente bisogno; bisogno che viene appellato anche per la voce «Teatri Stabili» saldamente inserita con consapevolezza però nel ‘900. Altre necessità a teatro invocate da molti per il nostro oggi e allo stesso tempo inserite nella categoria “D.O.C.” o addirittura definite come appartenenti all’800 sono la «critica teatrale», la «stroncatura» e il «pubblico che fischia». Pubblico definito buonista e di un’educazione eccessiva che accetta in silenzio o anzi applaudendo convinto anche spettacoli che in realtà non ha apprezzato o perché dormiente sulla poltrona o perché lamentoso durante tutta la messinscena: ma un caloroso applauso finale sembra non venga negato a nessuno. La stroncatura e la critica teatrale sono morte per la maggioranza degli intervistati, sono le giovanissime operatrici volenterose e appassionate di scrittura collocano queste due voci nel 2000: ma solo per dare speranza a una pratica che sembra andare scomparendo. Stroncatura sopratutto che svanisce per il poco spazio dedicato alla stessa critica: se pochi sono gli spazi lasciati al teatro, di certo non si possono sprecare per le stroncature, ma per segnalare un bello spettacolo. E forse spesso artisti non migliorano i propri lavori, magari commettendo anche gli stessi “errori” proprio perché non trovano alcun riscontro con lo sguardo critico, purtroppo così costretti a non crescere. Nella scrittura, spesso, vengono approfonditi degli aspetti che a caldo, appena visto lo spettacolo magari non si percepiscono e anche se i critici si soffermano a discutere di alcuni problemi con le compagnie riguardo a uno spettacolo appena visto spesso non basta.
Riguardo invece le voci come «residenze», «spettacoli a tappe», lo «spettacolo breve» e le «prove aperte» rientrano secondo molti pareri a pieno titolo sotto la categorizzazione di “O.G.M.”: curioso come diverse persone abbiano detto che questa sia una conseguenza della precarietà teatrale.
Altre sono le voci generiche presentate nel sondaggio ma che hanno talmente diviso i pareri che ne è impossibile tirare delle fila: questo soprattutto di fronte a personaggi di grande fama come Dario Fo, Samuel Beckett, Ascanio Celestini, Pina Bausch, Romeo Castellucci, Antonio Latella, Peter Brook, Bernard-Marie Koltès, Bertolt Brecht, Carmelo Bene, Antonin Artaud ed Eimuntas Nekrosius. Inoltre in moltissimi hanno inserito la figura del regista come fenomeno pienamente “novecentesco” e “D.O.C” ritrovandosi di conseguenza in difficoltà nel collocare alcuni di questi grandi maestri proprio per il loro essere – nel caso di alcuni – registi “D.O.C.”: se a gran voce Castellucci viene inserito nel 2000, la stessa cosa non vale per Nekrosius definito “novecentesco” anche per il suo avere tutto il tempo necessario a disposizione per ricercare ciò che gli serve, risorse che difficilmente hanno gli artisti oggi. Se Antonio Latella è collocato nel 2000, non si può dire la stessa cosa di Peter Brook che in moltissimi collocano nel ‘900.
Per concludere il nostro sondaggio in maniera più leggera abbiamo inserito delle voci come «concorsi under 35», «felpa con cappuccio», «la raccomandazione» e «il microfono a teatro»: se quest’ultimo è stato definito in maniera molto interessante e su cui riflettere come simbolo di potere – e di fronte a questo aggiungerei che ciò diventa estremamente significativo nel momento in cui anche il Teatro delle Albe nella riproposizione dell’Avaro di Molière utilizza questo strumento come metafora di potere – alle altre voci tutti con un sorriso amaro hanno risposto «purtroppo 2000».
Un sondaggio che divide ma che fa nascere una profonda riflessione: se le «categorizzazioni teatrali» sono tipicamente “Novecento”, è anche vero che oggi più che mai il bisogno di denominare ci divora. A che cosa serve dare dei paletti ben definiti? E dopo tutto, come ha sottolineato un artista, il sondaggio è estremamente “duemilesco”: tipico di una società in cui oggi non si fa più politica ma sondaggi. Interroghiamoci di meno sul denominare, ma accettiamo ciò che ci viene offerto lasciandoci investire dalle emozioni.
Carlotta Tringali