Non è facile parlare oggi di drammaturgia contemporanea, soprattutto se si pensa al mondo che ci circonda, che affronta ogni giorno problemi sociali ed economici legati a una crisi che ci pervade e che sembra far passare in secondo piano il teatro, che vive momenti di avversità. Ma la difficoltà di un’analisi approfondita risiede forse nel dover riflettere sul presente, per cui è necessaria a volte una certa distanza che purtroppo solo il passare del tempo permette. Alcuni studiosi, accademici e scrittori stessi, hanno provato ad analizzare le diverse scene teatrali che si presentano in Europa e in Oriente.
La tradizione teatrale che pervade il Giappone è ancora carica di spessore e importanza, tanto da caratterizzare un presente che non può disfarsi di un patrimonio antico e prezioso. Il professore di Lingua e Letteratura Giapponese Bonaventura Ruperti ha spiegato come il Nō, il Kyōgen, il Kabuki e il teatro dei burattini – il cosiddetto Bunraku – siano diventati con il tempo patrimonio dell’Unesco e si siano evoluti nell’epoca moderna in forme come lo Shingeki, ispirato al modello occidentale, e lo Shimpa. La bellezza di questa tradizione è nel forte legame tra testo spettacolare, che si è tramandato con il tempo, e le tecniche del linguaggio del corpo (dato dalla danza e dai costumi): la forte interazione tra parola e gesto rende il teatro “totale”. Oggi il teatro giapponese non ha fondi statali, a parte gli spazi che vengono concessi in gestione: ma questo non blocca le rappresentazioni, che, anzi, vengono anche proposte nel mondo occidentale, con tanto di sottotitoli e testi che appartengono alla scena europea, come i drammi shakespeariani.
Kleist e Büchner sono stati invece gli autori da cui è partita Anna Maria Carpi per tracciare un breve ritratto della scena tedesca: la docente ha infatti riflettuto sulla sensibilità e l’interesse dei tedeschi per la classicità. Se Kleist scriveva in versi ed era più legato ad Aristotele e a un mondo arcaico, con Büchner si ha una svolta: la prosa caratterizzava il suo stile e il presente era ciò che lo interessava. Ma nella seconda metà del ‘900 troviamo autori che ritornano alla classicità, drammaturghi della Germania dell’Est come per esempio Christa Wolf, scrittrice che lavora sulla “grecità”, o come il noto Heiner Müller che riprende il costume greco-romano per parlare di attualità.
Se i tedeschi si rifanno alla “grecità”, interessante è invece notare come le popolazioni elleniche rimandino a riferimenti occidentali, fino al teatro veneziano. La docente di Lingua e Letteratura Neogreca Caterina Carpinato ha sottolineato come le opere teatrali veneziane venissero rielaborate in maniera originale. Le varie isole greche hanno vissuto direttamente queste influenze, ma solo negli ultimi vent’anni si è sviluppato un interesse per quella che è stata definita letteratura “neogreca”, che si concentra sullo specifico socio-culturale ed estetico del Paese. A partire dal ‘900 si è manifestata l’esigenza di tradurre opere classiche in una lingua moderna, volgare. La perplessità, la riluttanza e financo le rivolte nei confronti di questo tipo di operazioni sono innumerevoli e diffuse, in quanto la Grecia classica era legata a un certo, notissimo, ideale, che nelle nuove traduzioni sembrava screditato. Non c’erano più gli eroi mitici in cui tanti europei d’Occidente hanno voluto riconoscersi. Oggi la scena è cambiata e in Grecia è possibile trovare il doppio di sale teatrali che a Roma: dato indicativo di una vitalità scenica e di un’attenzione vivace, anche in relazione all’interesse nel mettere in scena non solo drammaturgie, ma anche testi non nati per il teatro.
La Francia ha avuto il suo rappresentante in Enzo Cormann, romanziere e drammaturgo emblematico della scena contemporanea. Ultimo relatore della giornata – conclusasi con la lettura curata dall’Associazione Questa Nave, del testo Cairns da lui firmato – il dramaturg ha sottolineato come la scrittura teatrale abbia avuto momenti di crisi dovuti a due motivi. Il primo parte dallo stesso concetto di “messinscena”: senso e forma, dopo il punto di non ritorno del silenzio beckettiano, dovevano essere rinnovate da un gesto frivolo come quello di scrivere un dramma. Un malessere culturale che coincideva con un malessere istituzionale, ma soprattutto estetico. Se tra gli autori contemporanei più significativi Koltès è stato portato in scena grandi registi, Lagarce non è stato altrettanto fortunato: se il celebre drammaturgo non si fosse preso in carico egli stesso l’allestimento dei propri testi, forse oggi sarebbe sconosciuto a più. Ed è proprio Lagarce a rompere un tabù: oggi anche i più grandi autori francofono firmano la regia dei propri scritti, nel contesto di quella innovativa tradizione recente soprattutto francese che porta originalmente a coincidere autore e regista dello spettacolo. In secondo luogo, sempre nella prospettiva di individuare le ragioni della attuale crisi drammaturgica, Cormann segnala difficoltà di combattere il cosiddetto “nemico aristotelico”: c’era un’estenuazione della forma a cui sembrava non esistere un’alternativa. In chiusura Cormann accompagna il pubblico attraverso due categorie della drammaturgia francese: la prima viene definita dei “neoparabolisti”, testi in cui c’è una particolare attenzione alla parabola, ma senza una vera univocità del testo; la seconda è quella dei “neoverbalisti” in cui si torna indietro, a un teatro che è parola.
Carlotta Tringali