Note intorno al cambiamento del sistema produttivo
L’allontanamento produttivo dai teatri, che era già iniziato con l’avanguardia, negli ultimi anni si è consolidato e la cosiddetta scena contemporanea ha trovato nuovi avamposti creativi nell’ambito di festival e residenze. Sono nati molti spazi autonomi e alcune strutture (come Armunia e Centrale Fies) offrono sale prova, durante tutto l’arco dell’anno, per dare spazio alle compagnie che altrimenti non avrebbero luoghi per concentrarsi sulla produzione. Un improvviso ricambio generazionale ha stimolato un drastico mutamento delle poetiche che si è ripercosso sui formati delle opere prodotte: studi e opere in più fasi hanno preso piede popolando le rassegne di tutta Italia. Forti contraddizioni vedono un panorama creativo, sempre più fertile e movimentato, crescere sulle basi di un sistema produttivo altrettanto fecondo ma al contempo instabile: il ricco proliferare dei festival (quasi 30 negli ultimi 2 anni) non ha trovato sostegno nelle politiche di finanziamento che – avendo ridotto drasticamente i fondi agli enti locali – hanno messo alle corde molte manifestazioni.
La frammentarietà delle poetiche artistiche rispecchia pienamente le problematiche di un sistema produttivo che si vede procedere a singhiozzo, sempre costretto ad avanzare per passi e a produrre opere mai complete e sempre spezzate. Logiche di mercato – alle quali spesso le stesse compagnie sono obbligate a ricorrere – che nel migliore dei casi vengono elogiate per ricalcare lo stile del serial televisivo, nel peggiore sembrano voler riproporre il metodo work-in-progress solo per vendere una prima al festival di turno. Equilibri precari e dinamiche che configurano una realtà difficile da identificare, decisamente variegata ed eterogenea, in rapido sviluppo ma sempre più in crisi e a rischio di declino. Proprio per questa sua natura particolare e non identificata, la scena contemporanea rientra a fatica nel sistema di finanziamenti nazionale, difficilmente le viene riconosciuta una natura indipendente e proprio per questo resta ancora sotto la dicitura di “altro”.
La necessità di un’autodefinizione e di un riconoscimento (prima di tutto interno) ha fatto sì che nell’ultimo anno, a partire dal Convegno di Sansepolcro, si mobilitassero delle energie volte all’istituzione di un movimento per la scena contemporanea. In seguito a quell’incontro – che ebbe forte risonanza a livello nazionale con la presenza di un centinaio di operatori da tutta Italia – una quindicina di volontari portò avanti un lavoro volto alla messa in pratica di proposte concrete nate dalle istanze esplicitate nel documento finale di Sansepolcro.
I risultati di un anno di lavoro sono stati esposti nel convegno che si è tenuto a Bassano dal 2 al 4 settembre: il gruppo guidato da Luca Ricci (Kilowatt Festival) ha presentato in tre giorni gli intenti e i versanti di studio e d’azione del nascente C.Re.S.Co., comitato per il Coordinamento delle Realtà della Scena Contemporanea. Un movimento che si apre a situazioni eterogenee, diverse per linguaggi e problematiche, che si muovono su panorami distanti ma che si possono ancora definire comuni. Quella di Bassano più che una ricerca d’adesioni, è stata una chiamata a raccolta, un appello lanciato a molte delle realtà – operatori ed enti – che praticano quotidianamente la battaglia per il contemporaneo (qualunque forma esso abbia). Una ricerca di condivisione e confronto su tematiche che condizionano profondamente la sopravvivenza delle realtà produttive del teatro d’oggi: dalla proposta di aggiornamento del sistema dei finanziamenti nazionali e regionali al «riconoscimento normativo della natura atipica del lavoratore dello spettacolo». I partecipanti sono stati chiamati ad un dialogo attivo, favorito dalla divisione in gruppi di lavoro, che ha permesso a tutti di condividere la propria esperienza, di riconoscersi e di catalizzare nuove energie e proposte ridiscusse poi in assemblea plenaria.
Tra gli ambiti di confronto che hanno movimentato le giornate bassanesi: innanzitutto il sistema di finanziamento («profondamente ingessato») e le modalità in cui si possa attuare un sostegno capillare e diffuso. L’argomento affrontato da Davide D’Antonio (Teatro Inverso) e Gianni Berardino (Festival Voci di Fonte) è complesso e stratificato. Alcune proposte (accolte come utopie) prevedono la defiscalizzazione e la deducibilità di spese tangibili come i service, le autostrade, etc. Inoltre sono state individuate alcune istanze fondamentali per il rinnovamento quali la trasparenza normativa dei parametri d’accesso ai fondi e la necessità di amplificare l’attività degli Osservatori per migliorarne l’efficacia. Tra le proposte vi è anche quella di una divisione netta tra teatri stabili pubblici e teatri privati, un avvicinamento al sistema francese che renderebbe quello italiano più dinamico e agevole, agendo su due fronti totalmente separati (i teatri stabili dipenderebbero direttamente ed esclusivamente dal ministero, mentre tutto il resto sarebbe da considerarsi privato). Altro tema scottante riguarda il lavoratore dello spettacolo, una figura che fino ad oggi non è quasi stata presa in considerazione dalla legislazione e che necessita di una struttura diversa che comprenda forme contrattuali più agevoli e tutelate.
Per ogni tema trattato (di cui non si vuole fare un resoconto esaustivo) il nucleo base di C.Re.S.Co. ha elaborato specifiche azioni concrete attraverso le quali si potrà, in futuro, arrivare ad una messa in pratica degli ideali esposti. Proprio su questo fronte si muoverà Ugo Bacchella insieme alla Fondazione Fitzcarraldo – di cui è presidente – che si è resa disponibile ad effettuare una ricerca reale rispetto alla posizione del lavoratore dello spettacolo; dati che, si pensa, saranno molto diversi da quelli dichiarati all’Enpals e che non serviranno ad un confronto diretto con le istituzioni, bensì a stilare uno studio di settore che porti alla configurazione di profili e contratti più realistici rispetto alla situazione attuale.
L’impresa sembra decisamente ardua ma i presupposti sono ottimi, a partire da un’assunzione di responsabilità da parte di tutte le persone ed enti aderenti al C.Re.S.Co., le quali si impegnano a seguire un codice deontologico che agisca sulla base di un “patto tra generazioni”, il cui obiettivo è quello di attuare dialettiche di scambio e partecipazione attraverso politiche di trasparenza e confronto. Molti i dubbi sulla possibilità di riuscire ad aderire pienamente al codice, soprattutto finché la situazione resta quella attuale. Quello che è emerso, dal confronto tra diverse realtà, è che il cambiamento non deve essere lasciato in mano ai giovani (sui quali si sta scommettendo fin troppo) perché sono le dinamiche attuali che hanno portato ad un sistema, ad una generazione, destinati all’estinzione. Se non si procede subito alla salvaguardia di questo fermento – che da tre anni a questa parte si sta facendo sempre più vivo – arrivando a soluzioni concrete, assumendosi la responsabilità di mettere le basi per un reale cambiamento del sistema, stilando delle buone pratiche che non restino inattuate, tutto ciò che conosciamo come contemporaneo potrebbe sparire.