Crisi: parola di cui quest’anno molto si è sentito parlare. Nominato in campi e ambiti diversi – dall’economico al sociale – questo termine spaventa per lo più e lo si associa a momenti negativi della nostra società. La parola è giunta anche in teatro, tanto che si è appena conclusa a Venezia la rassegna Il teatro in tempo di crisi – Settimana di Drammaturgia Contemporanea.
Tre intense giornate di convegno con tanto di letture sceniche e quattro spettacoli hanno creato occasioni interessanti di riflessione circa la situazione teatrale in Italia e in Europa, con particolare attenzione alla drammaturgia. Molti sono stati gli studiosi, scrittori, docenti e artisti a intervenire in questa rassegna e a condividere le proprie esperienze e considerazioni, invitati dal direttore artistico Adriano Iurissevich e dal direttore scientifico Paolo Puppa. Sono nate discussioni di alto livello, in cui si sono analizzati il rapporto tra scena e società, la produzione e la distribuzione della nuova drammaturgia, il concetto di crisi, di pubblico e delle varie tipologie di teatri che possiamo oggi trovare. Diverse le domande sollevate e lasciate aperte, per cercare di scuotere e mettere in “crisi” il pubblico e gli stessi relatori partecipanti: torna spesso il termine “crisi” perché, oltre ad essere portatore di accezioni negative, può essere in realtà anche rovesciato e caricato di positività. È infatti di fronte a una difficoltà che è più facile reagire e tentare di trovare delle risposte. Se come sottolinea Claudio Longhi «in fondo a ogni presente c’è sempre la sensazione del baratro», Roberto Tessari specifica come la crisi sia una creatura mitica che ci fa cullare nel nostro malessere, e proprio per questo il drammaturgo francese Enzo Cormann ha ammesso come in realtà essa sia una gioia, un momento per riscattarsi e avere la forza di trovare una strada. Gerardo Guccini crede addirittura che la crisi provocata nello spettatore possa riflettersi poi nella creazione di risposte ad altre tipologie di crisi che si presentano nella società: un modo quindi di vedere – come nella celebre metafora – mezzo pieno un bicchiere, piuttosto che mezzo vuoto. Attori e drammaturghi hanno sottolineato come nel teatro sia fondamentale una scrittura che parli di noi, del nostro presente, affinché diventi uno specchio in cui riflettersi per comprendere a fondo ciò che ci circonda: una drammaturgia che parli ad un pubblico quindi, altro punto di contatto delle diverse discussioni emerse durante questi tre giorni. Un pubblico consapevole e attento ai problemi caldi di questa società che non deve cullarsi nel malessere dato dalla crisi, ma che sia capace di affrontare la realtà con positività e impegno.
Carlotta Tringali