Sempre diversi sono i linguaggi e le forme attraverso cui si esprimono gli artisti d’oggi, tanto quanto le visioni che scaturiscono da opere create a partire da suggestioni individuali o ispirate a personaggi e teorie del passato. Immaginari evanescenti creati da artisti sull’orlo tra artigianato e scienza, costruiti per stupire l’occhio e far viaggiare la mente. Nella sezione Visioni di B.Motion, sei giovani compagnie percorrono strade altrettanto eterogenee.
Ha aperto la settimana dedicata al teatro CollettivO CineticO, nato per la sperimentazione e la ricerca nel campo delle arti performative, fondato dalla giovanissima danzatrice Francesca Pennini nel 2007. Con XD ½ il gruppo porta in scena un frammento del progetto decennale ©/ø, creato con l’obiettivo di indagare la possibilità di “spazi altri” reali e irreali, frutto dell’immaginazione, virtuali o per convenzione fuori luogo. È dal concetto di osceno/o-scena, fuori dalla scena, che inizia un’analisi sulla continua ridefinizione dello spazio performativo. Lo studio è frutto di una ricerca che percorre diversi linguaggi: dal fumetto all’atletica, dalla danza alla comicità del mimo. Alla visione pop proposta da ColletivO CineticO si oppone l’estetica precisa e vellutata di Plumes dans la tête: Stato di grazia è un’opera in più fasi e ruota intorno agli universi personali della giovane regista Silvia Costa. La seconda parte – che sarà presentata stasera a Bassano – è tratta da Psychopatia sexualis di Richard von Krafft-Ebing, testo pubblicato a fine Ottocento che fu uno dei primi a parlare di omosessualità. Scenari controversi che indagano l’individualità sia fisica che psicologica, ammaliando l’occhio dello spettatore attraverso l’uso del corpo come mezzo espressivo per eccellenza.
Altre visioni quelle spinte da Anagoor con Tempesta, l’ormai noto lavoro intorno ai dipinti del Giorgione che è valso alla compagnia di Castelfranco Veneto la segnalazione al Premio Scenario 2009. In scena a B.Motion anche il terzo studio di Fortuny, progetto incentrato intorno ad un personaggio della società veneziana – Mariano Fortuny –, le cui prime due tappe sono state presentate ai festival Contemporanea e Drodesera durante l’estate. L’opera di Anagoor è fatta di immagini satinate, re-visioni dell’antichità nelle quali il video si sostituisce alla pittura. La tecnologia digitale si traduce in mezzo espressivo ed irrompe nella scena contemporanea aprendo nuovi orizzonti alle possibilità dell’artista. Se trent’anni fa il computer era lontanissimo dall’essere usato nella vita quotidiana, oggi gran parte delle attività dell’uomo moderno sono legate alle macchine: dal lavoro alle attività ricreative, ormai la vita è contaminata dalla tecnologia e anche le arti sceniche approfondiscono sempre più le ultime innovazioni della scienza per creare nuovi immaginari. Ne è un chiaro esempio la poetica virtuale del gruppo romano Santasangre che si snoda tra la video-arte e la manipolazione del suono in presa diretta, sperimentando loop sonori e sincronie ottiche che assorbono lo sguardo.
Sullo stesso filone si muove Barok ideato dal gruppo Barokthegreat, che lavora in particolare «sulla materialità del suono e sulla radice mentale del movimento», una ricerca che esplora diverse dimensioni della percezione svuotando l’intelletto e lasciando spazio all’immaginazione. Lo spettatore si trasforma così in scatola vuota dove si riversano le proiezioni fantastiche dell’artista pronto a stimolare in ogni modo la retina di chi lo guarda. Questi impulsi più o meno forti spingono l’intelletto a viaggiare e vedere ben al di là della scena. È questo il caso anche del lavoro che da qualche anno il gruppo Pathosformel porta avanti basandosi su alcune teorie riguardanti la percezione visiva e il completamento amodale. La compagnia nata a Venezia presenta La prima periferia, uno studio sul gesto umano e sul modo in cui l’inclinazione degli arti – composti da semplici e asettici modelli anatomici – conduce lo sguardo a percepire gesti e intenzioni quotidiani. La forza istintiva della mente nel creare storie e ricondurre forme a situazioni comuni è più radicata di qualunque tentativo di scardinare questo stesso processo. La scena contemporanea mira sempre più a stimolare la percezione visiva usando tecnologie e teorie compositive che non lasciano riposare né l’occhio né la mente dello spettatore – che si vede sempre più chiamato a usare la fantasia sovrapponendo il suo immaginario a quello dell’artista.