Dopo il laboratorio Morion, anche il Teatro Fondamenta Nuove di Venezia ha ospitato lo spettacolo di teatro-canzone dedicato alla figura del ladro diventato leggenda tra le calli negli anni sessanta e settanta. Il progetto Kociss è figlio di una collaborazione tutta veneziana tra il regista e direttore dell’Istituto Commedia dell’Arte Internazionale (ICAI) Gianni De Luigi e il cantautore Giovanni Dell’Olivo, fondatore del collettivo musicale Lagunaria. Il primo, che da tempo indaga la figura del bandito Silvano Maistrello, ha scritto il soggetto teatrale e curato la regia; mentre il secondo, con la consulenza drammaturgica di Leonardo Mello, ha composto musiche e testi e li ha portati in scena assieme ad altri quattro musicisti e una voce. «Da anni il progetto Lagunaria ripropone brani della musica popolare veneziana e del Canzoniere Popolare Veneto, in chiave di contaminazione – racconta Dell’Olivo, che abbiamo incontrato e intervistato – in questo spettacolo ho voluto riscoprire la figura del cantastorie, facendo interagire in tempo reale il canto e la recitazione con i disegni digitali dell’illustratore Mauro Moretti». Il risultato è un lavoro che lo stesso autore definisce come un work in progress al suo stadio intermedio e che già dalla prossima replica, in programma al Cineteatro Bersaglieri di Spinea il 10 febbraio, si arricchirà di qualche nuovo elemento.
La struttura portante della drammaturgia è costituita da 13 canzoni, in gran parte originali, cui fanno da contrappunto due voci narranti: una maschile, affidata all’attore Giacomo Trevisan, che con freddezza e puntuale distacco ripercorre la storia nella sua dimensione oggettiva; e una femminile interpretata da Ilaria Pasqualetto, che si cala nei panni della madre del protagonista e accompagna il brutale racconto come nel susseguirsi di una processione dolorosa. «Non ho voluto ripercorrere la vita di Kociss in chiave agiografica – spiega l’autore – ma ho operato una scelta molto precisa costruendo una sorta di Passio Christi contemporanea, sfruttando una figura materna presente e imponente. Partendo dal principio secondo cui il contesto influisce enormemente sul destino del singolo individuo, ho ricercato la testimonianza del luogo e delle persone che hanno conosciuto Silvano Maistrello. Il ritratto che mi è stato consegnato è quello di un uomo certamente violento, che manteneva però una morale cui non è mai venuto meno.
Quest’affermazione contiene una verità, per quanto apparentemente paradossale, che ho potuto constatare in anni di attività volontaria con i detenuti del carcere veneziano di Santa Maria Maggiore, esperienza che mi ha permesso di osservare da vicino le regole e i principi che spesso accompagnano una vita di azioni violente, senza giustificarle».
La narrazione procede per sovrapposizione di suggestioni in un processo in cui il tratto del disegno si svela seguendo il ritmo della canzone, ricreando nell’immaginazione dello spettatore tutti gli elementi della storia come fossero fisicamente presenti sul palco. Si comincia nel secondo dopoguerra da via Garibaldi, sestriere di Castello, tuttora considerato il quartiere più popolare e autenticamente veneziano dell’intera città, che si fa cornice di in un’infanzia vissuta in miseria tra insulti ed emarginazione. Proseguendo nella crescita tra le numerose rapine commesse ai danni delle ricche famiglie residenti nel centro, ci si trova a seguire “il Falco” nelle fughe sopra i tetti del Canal Grande per poi salire a bordo del barchino celeste che lo porta tra i rii fin nelle acque aperte delle laguna. Si osservano, come in un cinematografico montaggio alternato, gli sforzi antagonisti del commissario La Barbera, soprannominato “La Faina” e si scopre, non senza meraviglia, che il ladro cresciuto lontano dai tesori d’arte e ricchezza che hanno reso grande Venezia, si è nascosto per un breve periodo in un deposito scenografico del Teatro Malibran.
C’è però un episodio che svela sopra ogni altro la portata leggendaria del ladro di Castello quando, arrestato all’uscita della Chiesa della Salute, in occasione della tradizionale festa omonima cui non aveva voluto mancare, e portato in manette alla stazione di Santa Lucia per essere rinchiuso in un carcere in terraferma, Maistrello evade prima ancora che il treno giunga alla fine del Ponte della Libertà, gettandosi dalla vettura in corsa direttamente in laguna dove un barchino lo sta aspettando. Una scena che sembra tratta da un film western e puntualmente rimanda a quel “Kociss”, eroe indiano a cui Maistrello assomigliava nei tratti e nei colori. “Questa è la storia vera di un bandito che divenne un mito. Questa è la storia che racconta gli anni in cui Venezia, segnata dalla miseria, tentava di rifarsi il volto. Questa è la storia di un topo di quelle fogne che il destino tramutò in un falco”, recita una delle ballate.
Spiega ancora Dell’Olivo: «Quando Gianni de Luigi mi ha proposto il soggetto, ho condiviso totalmente la scelta di portare in scena questo personaggio perché emblema di una Venezia sottoproletaria, incredibilmente distante da quella attuale, che si è perduta nell’esodo dei tempi recenti. Una parte di città che sembra scomparsa dalla raffigurazione contemporanea e che invece merita di essere riscoperta e raccontata. Ricordo che avevo nove anni nel 1978, quando Kociss fu ucciso dalla polizia in pieno giorno, all’altezza di Campo San Giovanni e Paolo e molto vicino ad una scuola. All’epoca non si percepiva la violenza che in realtà era piuttosto presente, mentre oggi al contrario, si ha l’impressione di vivere in un ambiente pericoloso nonostante le ricerche lo descrivano come sicuro e controllato. Venezia non è più la stessa città nemmeno sotto il profilo geografico: comprende la cinta urbana della terraferma e il suo futuro risiede nell’apertura multiculturale e nella permeabilità. Non a caso con il collettivo Lagunaria lavoriamo sulla contaminazione della musica tradizionale con suoni e strumenti che in dialetto definiremmo “foresti”. Questo spettacolo, oltre a riappropriarsi di una parte di storia della città, permette di confrontarla con quella odierna e di riflettere su come sia cambiata la percezione che noi tutti ne abbiamo».
Un racconto che trova cittadinanza nelle calli della laguna e nelle piazze della terraferma veneziana, ma che intende viaggiare per provare che anche la città più raccontata, decantata e fotografata del mondo racchiude un’autenticità sconosciuta ai più.
Visto al Teatro Fondamenta Nuove, Venezia
Margherita Gallo