Al Padiglione delle Capriate, in Fondazione Cini, c’è un piacevole silenzio arricchito dalla luce intensa e calda che penetra dalle grandi finestre. È ancora mattina e ogni azione è rallentata.
Gabriela Carrizo, al secondo giorno di laboratorio alla Biennale Teatro, lascia che ognuno degli allievi si prenda il tempo per risvegliare il proprio corpo e non solo. Anche se potrebbe dirsi indefinibile l’attimo in cui il riscaldamento può dichiararsi concluso, per Carrizo non sembra valere lo stesso, segue il suo stato fisico ma ascolta – e osserva – attentamente anche le necessità dei presenti.
«Not fast», ricorda la coreografa ai ragazzi; è importante avere stabilità e estensione del corpo prima di sviluppare un gesto. Dalle azioni indagate nel corso del riscaldamento, Carrizo chiede di sceglierne una e portarla avanti in tre variazioni ma senza limitarsi al conosciuto: «provare, forzare il limite». Questo è il modo per entrare dentro a un movimento, dove una piccola cosa può trasformarsi in una danza.
Il passaggio dal riscaldamento all’improvvisazione è uno dei nodi fondamentali per comprendere l’evoluzione di un workshop. È l’approccio utilizzato frequentemente da un regista con i laboratoristi, variabile in base alla durata della specifica situazione. Ciò che affascina di tale processo è il portato esperienziale che i singoli mettono in condivisione, a volte anche in esibizione, e che verrà elaborato nel tempo. Riguarda molte realtà formative, e ogni volta è interessante osservare come il maestro sceglierà di interagire – e inserirsi – rispetto al percorso artistico del giovane professionista.
«Quando si improvvisa – dice Carrizo – tante cose vengono messe in gioco, ma qualche volta bisogna prenderne una e esplorarla, essere aperti». Gli esercizi sui quali la coreografa fa lavorare i ragazzi lasciano che l’incontro tra la poetica di Peeping Tom (il gruppo da lei co-fondato assieme a Franck Chartier) e la formazione del giovane, si verifichi naturalmente, senza forzare le conclusioni. È così che il lavoro sul rallenti e sulla pausa, presentato fin da ieri, viene reinterpretato dal singolo partecipante.
Di questa dimensione di condivisione e di scambio portata da Carrizo al laboratorio veneziano, aveva già velatamente parlato la coreografa nel corso dell’incontro tenuto a Ca’Giustinian: «a volte a suggerire il personaggio è il danzatore stesso che si presenta all’audizione». Una predisposizione che si coglie anche dai suoi occhi, profondi e concentrati sui singoli partecipanti al workshop, pronti a catturare le specificità di ognuno, fin dal momento del riscaldamento.
La presenza di piccole e sussurrate indicazioni come «go in / go out / more people…» le consentono di arricchire le improvvisazioni con un ritmo scenico e lasciano fantasticare sull’evoluzione del lavoro, fino al giorno in cui le porte dalla sala si apriranno per una presentazione pubblica di fine laboratorio.
di Elena Conti
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