ArtLab13. Territori. Cultura. Innovazione

logo_ArtLab13(RGB)Esattamente un mese fa si è svolto ArtLab 2013 Territori Cultura Innovazione, un progetto di Fondazione Fitzcarraldo, ente no profit e indipendente con sede a Torino che da più di vent’anni si occupa di progettazione, ricerca, formazione e documentazione sul management, l’economia e le politiche della cultura, delle arti e dei media. Giunto alla decima edizione, il convegno, o come lo definiscono gli stessi organizzatori, il rendez-vous culturale, è stato ospitato per il terzo anno consecutivo dal Comune di Lecce, città candidata a Capitale Europea della Cultura 2019. MUST, Palazzo Turrisi, ex Convento dei Teatini, Officine Cantelmo, Teatro Romano e altri spazi culturali del centro storico salentino hanno aperto le loro porte a sessioni, seminari, tavoli di lavoro concentrati dal 24 al 28 settembre, con interventi e relazioni di 200 operatori culturali nazionali ed europei. Come di consueto, la partecipazione agli incontri è stata gratuita e aperta a un pubblico non esclusivamente di addetti ai lavori. Interessante la ripartizione dei contenuti, organizzata secondo tre filoni tematici: Innovazione e sostenibilità, Partecipazione e Innovazione Sociale, Smart Cities, così come la scelta di rendere accessibile il convegno attraverso il servizio di traduzione LIS.

Lo spirito con cui gli operatori culturali si sono dati appuntamento a Lecce è ben racchiuso nell’invito che Ugo Bacchella, presidente della Fondazione, ha rivolto ai partecipanti durante la Plenaria di apertura dei lavori: “Ragioniamo assieme su come uscire dal pantano in cui ci troviamo, ricordandoci che noi lavoriamo per gli artisti di ieri, di oggi e di domani”.
Il Tamburo di Kattrin ha colto l’occasione per curiosare nelle sessioni più strettamente legate all’ambito teatrale alla ricerca di spunti utili e interessanti da approfondire e sui cui riflettere.

 26 settembre ore 14.30. MUST: TEATRO E INCLUSIONE SOCIALE

@framargaritoTeatro Sociale, Teatro Comunità, Teatro Carcere, semplicemente Teatro? Ci si interroga sul senso del fare teatro, mettendo al centro e a misura della discussione il pubblico.
Si comincia ascoltando l’introduzione di Fabio Cavalli e alcuni dati statistici su carcere e teatro: il tasso di recidiva fra i 67.000 detenuti nelle carceri italiane è del 65%. Per chi svolge un lavoro all’interno o all’esterno del carcere, il tasso scende al 19%. I dati dell’Istituto Superiore di Studi Penitenziari certificano, su un centinaio di Laboratori teatrali operanti in Italia, che il tasso di recidiva per chi li frequenta scende al 6%. Nella visione del regista, questi dati pongono interrogativi a più livelli, chiamando in causa contemporaneamente le istituzioni, il campo delle neuroscienze, e ovviamente gli artisti. La discussione e la riflessione prendono vita dall’interrogativo sul senso dell’azione teatrale, se essa sia un fare arte per l’arte o uno strumento utile a una finalità sociale. Si può discutere sulla legittimità di entrambe le posizioni, ma risulta particolarmente interessante il punto di vista di chi, come la Compagnia Teatri InGestAzione, si occupa di arte scenica all’interno del manicomio criminale di Aversa. La riflessione sul proprio interlocutore, sul destinatario della propria azione e sull’impatto che il teatro ha sulla vita quotidiana di persone ai margini, una volta applicata al pubblico “normale” dei teatri, può avere effetti dirompenti: “Io non mi domando più che senso ha fare teatro all’interno di un manicomio criminale, io so perfettamente perché sono lì, il problema è che non so più cosa ci faccio a teatro”, opinione espressa quasi con brutalità da Anna Gesualdi e che si articola ulteriormente nella riflessione del suo collega Giovanni Trono, secondo cui il teatro deve essere inteso come una risorsa per una possibile avanguardia che acquisti un ruolo nella società. In altre parole, lo sguardo di chi sta sul palcoscenico non deve essere lo stesso di chi osserva, ma deve necessariamente proporre letture differenti per riuscire a produrre senso e cambiamento.
Franco Ungaro di Cantieri Koreja pone l’accento sulle mutate condizioni socio-economiche e su come queste stiano ormai costringendo il teatro a smettere di autorappresentarsi e a fare i conti con l’imperativo morale dell’austerità, senza contare che la ricerca di fondi spinge sempre più verso un nuovo approccio ai disagi sociali e al valore comunitario dell’arte scenica.
Il contributo video di un purtroppo assente Marco Martinelli riformula questo assunto a partire dall’idea che sia assolutamente necessario per il teatro avere un impatto sulla società, senza mai rinunciare all’arte e al suo guizzo, ma sforzandosi di rimanere nella modernità, scacciando con sistematicità le mode.
Rimettere in connessione le persone, su questo si concentra l’esperienza testimoniata da Antonella Iallorenzi, che con la Compagnia Petra svolge attività di teatro comunità in piccoli centri della Basilicata. Usare il teatro come mediatore di nuovi rapporti tra gli abitanti e di conseguenza come motore di riscoperta dei luoghi abitati.
E se la discussione sul ruolo artistico si rivela appassionante, non manca chi dal pubblico pone legittimamente una domanda problematica: questo tipo di attività è intrinsecamente debole, senza potere, portata avanti in modo frammentato territorialmente e nella totale indifferenza degli interlocutori politici. Questo nodo va ammesso e affrontato.

Calo di risorse, necessità di austerità, inflessione della fruizione e dei consumi culturali, comportano necessariamente la riscoperta del ruolo imprescindibile di chi sta davanti al palcoscenico. Si esce dalla sessione senza avere risposte definitive o risolutive, ma con la precisa convinzione che la domanda fondamentale su cui ricominciare a riflettere è: cosa fa il teatro, non ai carcerati, ai migranti, ai disabili, ma al pubblico?

27 settembre, ore 10.00, Palazzo Turrisi. AUDIENCE DEVELOPMENT: PRACTICES AND TOOLS IN THE EUROPEAN CONTEXCT

ArtLab13resizedIl pubblico, o meglio i pubblici sono ancora oggetto di un dibattito questa volta più tecnicamente legato alla figura dell’organizzatore e operatore culturale. Il convegno è organizzato da Audiences Europe Network, rete nata tra il 1999 e il 2000 per discutere e confrontarsi sul tema dell’accesso all’arte e della democratizzazione della cultura. Introduce le testimonianze Richard Hadley, fondatore e direttore del network, con una slide d’apertura eloquente: Yes you can!
Ci si riferisce al tema dell’audience engagement, conosciuto più comunemente come audience development: quell’insieme di strategie e pratiche finalizzate ad abbattere le barriere di accesso ad arte e cultura o, per citare lo stesso Hadley “Aprire quella conchiglia che custodisce arte e cultura”.
Il tema è particolarmente attuale dato il forte accento che il nuovo programma europeo Creative Europe ha posto sul tema dello sviluppo dei pubblici.
Cristina Da Milano, di Associazione ECCOM, approfondisce il contesto in cui le organizzazioni opereranno nei prossimi anni e le spinte che stanno alla base delle nuove linee guida europee, partendo dai dati forniti dal Report OMC .
Sempre più fondamentale diventa analizzare il proprio pubblico, ragionare per rimuovere gli ostacoli all’accesso alla cultura, favorire la partecipazione di chi si accosta poco o nulla all’offerta culturale e in ultimo, dare rappresentanza artistica e culturale a quelle fasce di popolazione tradizionalmente escluse dai luoghi deputati. Hadley divide esplicitamente la popolazione, in base alle abitudini di consumo culturale, in quattro diverse categorie: attenders, intenders, indifferent, hostile. “TURNING ON THE INDIFFERENT!” diventa così lo slogan del dibattito, nella convinzione che le istituzioni finanziate dal settore pubblico raggiungono un segmento troppo ristretto di popolazione e non compiano quindi la missione a loro affidata.
A questo proposito, l’intervento di Airan Berg curatore artistico di Lecce 2019, pone un limite con cui è necessario fare i conti: l’impossibilità di raggiungere l’intero territorio di riferimento. Rimane però evidente che bisogna coinvolgere più fasce di popolazione e potenziali partecipanti producendo contenuti che riflettano la realtà e la sua complessità. Come suggerito da Niels Righolt del Danish Centre for Arts & Interculture, non c’è altro sistema che comunicare direttamente alle persone che loro stesse sono una risorsa in quanto produttori e creatori di idee, di punti di vista e in ultima analisi di cultura.

Quale il ruolo delle istituzioni pubbliche in un momento di profonda crisi e trasformazione sociale? È lecito, se non addirittura obbligatorio, aspettarsi maggiori risultati in termini di partecipazione e coinvolgimento da parte degli enti culturali pubblicamente finanziati? È possibile coinvolgere direttamente i cittadini nelle scelte delle organizzazioni culturali? E se così fosse, quali programmazioni e proposte artistico-culturali ne deriverebbero?

27 settembre, ore 14.30. MUST: FESTIVAL E TERRITORI

Il tema è interessante e attuale perché mette a confronto esperienze di radicamento culturale in territori molto diversi. Dopo l’introduzione di Luisella Carnelli, ricercatrice di Fondazione Fitzcarraldo, alcune esperienze locali si raccontano e testimoniano i cambiamenti avvenuti negli ultimi anni. Si parte con Operaestate/Bmotion, festival nato più di trent’anni fa a nordest per volontà di alcuni imprenditori locali appassionati di opera. A partire dalla produzione lirica, il festival è cresciuto fino ad assumere la forma che ha oggi: due mesi di programmazione che spazia in tutti i generi delle arti performative, con una coda finale interamente dedicata a teatro e danza contemporanei.
Negli ultimi anni l’Assessorato allo Spettacolo del Comune di Bassano del Grappa, ente capofila del progetto Operaestate, ha investito molto e con successo nella progettazione europea al punto che la stessa direttrice artistica Rosa Scapin ritiene ormai vitale e imprescindibile questo tipo di attività anche da un punto di vista della sostenibilità.
Accanto a un’istituzione consolidata, con decenni di attività alle spalle, vengono presentati due eventi di recente fondazione: Locus, un festival jazz pugliese che si svolge a Locorotondo a cavallo tra luglio e agosto e amoTE, festival teatrale di Amorosi, comune del beneventano senza teatro, che sfrutta i cortili e le piazze per animare le serate di luglio. Guido Lavorgna racconta come sia nata la progettualità di amoTE, a partire dall’esigenza di rispondere a un territorio depresso, in cui l’unica alternativa per una vita serena sembra essere l’emigrazione.
Ciò che contraddistingue questi due giovani esempi di lavoro sul territorio è la consapevolezza che le risorse pubbliche centrali non saranno a loro disposizione. Vincenzo Bellini di Locus lo dice apertamente: “non solo non abbiamo il sostegno del ministero, ma non lo cerchiamo nemmeno”. La ricerca piuttosto si indirizza verso sponsor privati, con una particolare attenzione all’aspetto dell’incremento turistico che questi eventi possono, se ben promossi, apportare.
Caso completamente diverso è quello raccontato da Massimo Manera, presidente della Fondazione “La Notte della Taranta”, evento nato nel 1998 e diventato negli anni il più grande festival d’Italia. Organizzato su volontà iniziale di alcuni giovani sindaci della Grecia Salentina, l’evento ha avuto un enorme successo, grazie anche una gestione totalmente volontaria. A fronte di una spesa in comunicazione e promozione pari quasi allo zero, La Notte della Taranta testimonia l’incredibile valore e l’impatto del passaparola come mezzo di diffusione.
Altro fattore da sottolineare è l’aumento esponenziale del turismo nel comune di Melpignano, che è passato dall’avere inizialmente 30 posti letti, fino ai 7000 ora a disposizione dei visitatori con una ricaduta economica sul territorio di circa 25 milioni di euro.

La molteplicità delle testimonianze e dei format presentati, racconta quanto possano essere varie identità culturali che sottostanno a un’unica definizione: festival. L’incontro dimostra quanto il rapporto con il territorio di riferimento e le sue necessità arrivi a plasmare le forme e i contenuti di un progetto culturale che non può più essere identificato meramente con la parola “evento”.

Alcuni degli spunti qui accennati sono stati approfonditi a un tavolino del caffè del MUST con Silvia Bottiroli, direttrice artistica di Santarcangelo 12-13-14leggi l’intervista.

Margherita Gallo

 

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