Italiano. Inglese. Portoghese. Francese. Spagnolo. Tempesta. Protest. Imaginaçao. Parole a colori, strette le une contro le altre nel totem che campeggia all’ingresso del Caos – Centro per le Arti Opificio Siri, ex fabbrica chimica, spazio dedicato alla cultura, alla sperimentazione, all’innovazione. Frasi rubate agli spettacoli, alle performance del Terni Festival 2013. Pensieri parlati, danzati, installati dagli artisti che hanno partecipato alla festa, in teatro, negli spazi espositivi, nelle piazze. «We gave a party for the gods and the gods all came» è il claim di questa ottava edizione, rubato all’ospite d’eccezione, John Giorno, protagonista della beat generation, che con la presenza – in corpo in voce in danza e in poesia – in Someone in hell loves you| All, opera modulare dei Kinkaleri, chiude il festival nella serata del 29 settembre.
Abbiamo preso parte alla festa per ventiquattr’ore, concentrate, intense, cominciate nel tepore di una tarda mattinata e con la “musica da viaggio” di Bruce Springsteen, per un percorso nelle colline umbre, e finite nella confusione di un treno, con una poesia al telefono, con i versi di Amiri Baraka.
Un solo giorno che non rende conto dell’intera macchina, della diversità dei luoghi e delle proposte, della multidisciplinarietà, delle reti, dei debutti, dei protagonisti internazionali. Ma restituisce l’atmosfera, l’incontro con la città, il coinvolgimento del pubblico e degli artisti. Per un festival che spinge a cambiare il punto di vista, invita a smarrirsi, lasciarsi andare, cadere e risalire. Immergersi nella realtà e ascendere all’Olimpo, per banchettare insieme agli dèi.
E la domanda che si pone Cristina Rizzo ne La Sagra della Primavera Paura e delirio a Las Vegas è la stessa che ci poniamo noi: «Cosa vedo quando ascolto? Cosa ascolto quando vedo?»
Cuffie alle orecchie, casco, giubbetto di pelle, un motociclista con visiera abbassata aspetta in sella il suo passeggero. Inizia così Rearview Mirror, con uno specchietto retrovisore protagonista – che forse riprende il titolo da una canzone dei Pearl Jam –: accomodarsi alle spalle di una persona che non si conosce e, insieme, partire. Si diventa compagni di un viaggio estemporaneo, curioso, divertente, piacevole, intimo. Tra le colline umbre vestite con le prime sfumature autunnali, le curve asfaltate e uno splendido sole, il particolare spettacolo ideato e diretto da Marco Austeri è una vera e propria chicca: la musica da viaggio di Bruce Springsteen e degli Smiths, alternata al testo drammaturgico dello stesso regista e di Stefano Martoni, regalano spensieratezza e libertà, ma innescano anche un meccanismo di domande, spingendo a cambiare il punto di vista. Soprattutto quando il pilota ti abbandona in mezzo a un campo e pensi di essere perduto: l’incontro con una ragazza – l’attrice Valentina Jalali – dallo sguardo caldo e profondo, tenera e muta, ti accompagna per un tempo indefinito, brevissimo ma che potrebbe essere infinito; continua a fissare il tuo sguardo, prima da uno specchio e poi faccia a faccia, regalandoti un pezzo di sé. Tutto giocato su un rimando di sguardi, Rearview mirror è una richiesta di fiducia, di condivisione, di un rischio necessario per andare avanti e non continuare a guardare lo specchietto retrovisore, metafora di quello che si è attraversato. È un atto di coraggio per continuare a viaggiare e correre su una strada che non si conosce, ma che può sempre riservare piacevoli sorprese.
«Seguimi, ho bisogno di qualcuno che mi riporti a casa». Prima è la voce a infilarsi nelle orecchie, mentre aspettiamo in piazza, in un pomeriggio di sole, poi è la figura snella di una donna col capello corto, Roberta Bosetti, gonna con spacco e tacchi, microfono alla bocca, a rivelarsi. Seguiamo i suoi passi, prima incerti, poi svelti, ci facciamo condurre per le strade di Terni, sulle tracce di un fantasma. Non tradiscono la loro cifra Cuocolo\Bosetti, compagnia che dal territorio capitolino si è spostata a Melbourne. The Walk è una performance per pochi spettatori – nel nostro turno per casualità tutte donne – in un ambiente non teatrale. È il centro ternano ad aprirsi al nostro sguardo: ci sono case disabitate, finestre chiuse – «chissà chi ha abitato là, impossibile saperlo» – angoli nascosti, scritte sui muri, tetti assolati. E il chiacchiericcio di una città in movimento, da vedere senza sentire, da guardare e lasciare fluire. Un percorso di gruppo ma individuale, il racconto di uno che può essere di tanti. E c’è una cartina da seguire, ci sono strade da imboccare e altre da evitare, per una traiettoria già definita e una storia già scritta, che non ha possibilità di essere cambiata. Il passaggio di una vita che è stata e che non è più, un’assenza che non si fa mai viva, un’ombra che non si può rincorrere. Perché c’è un momento per andare e uno per fermarsi, a occhi chiusi, contando fino a cento. «Aspettate qui. Oggi torno».
Dalla piazza al Caos. Da esterno a interno. Dalla narrazione alla cronaca. I giornali raccontano, fotografano, indagano. Ma se si tagliano e si estrapolano dei titoli, questi possono guidare i movimenti di due performer, creando una drammaturgia alternativa? Ci sono riusciti, in maniera folle e divertente, anche se con qualche riserva su alcuni passaggi eccessivamente “dada”, Iñaki Alvarez e Pere Faura della Companyia Pere Faura, arrivati dalla Spagna al Festival di Terni. Diari d’accions è giocato sulle contraddizioni che separano le parole dalle azioni, dove il linguaggio disegna la scena e i performer fanno di tutto per mescolare significato e significante. La partitura data dai titoli dei giornali – ripresa in diretta con due telecamere e proiettata su uno schermo posto in fondo al palco – ed eseguita dai due performer crea continui sviamenti simpatici e intelligenti. E così la macchina della morte diventa uno schiacciamosche o le stesse identiche azioni assumono significati diversi – coprirsi la faccia, nascondersi, essere disperati. Le metafore performative di Pere Faura coinvolgono inevitabilmente anche il pubblico – che partecipa divertito – chiamandolo a mettersi in gioco e provare a sovvertire linguaggio, azione e infine, perché no, anche la realtà.
È un momento solitario, un ascolto privato quello pensato dai Kinkaleri per Pasto Pubblico| All! progetto che riprende una pratica inventata da John Giorno nel 1969, una poesia al telefono che vede coinvolti, nelle giornate del Terni Festival, diversi artisti e lo stesso poeta statunitense. Una manciata di minuti per sentire versi di Kerouac e Amiri Baraka, letti domenica 29 settembre, da Enrico Casagrande e Daniela Nicolò. Mexico City Blues per la voce femminile e Preface to a twenty volume suicide note per la voce maschile. Questo il verso che – più di ogni altro – ci resta: «Ogni notte contavo le stelle e ottenevo sempre lo stesso numero, e quando non era possibile contarle, contavo i buchi che lasciavano».
Rossella Porcheddu e Carlotta Tringali