Tra i gruppi chiamati da Àlex Rigola a partecipare al progetto delle Residenze di questa edizione della Biennale Teatro, la compagnia costituita da Carlota Ferrer, Nicolas Wan Park, Francesca Tasini e Emmanuelle Moreau è ospitata nella luminosa Sala Prove del Conservatorio “Benedetto Marcello”. Abbiamo incontrato il gruppo (nato dal laboratorio di Jan Lauwers nel 2010), a Venezia per lavorare su un progetto liberamente ispirato a Beckett: Swimming B.
Incontro con Carlota Ferrer e Nicolas Wan Park
Come si è formato il gruppo e come avete lavorato finora?
Carlota: Abbiamo lavorato insieme due anni fa con Jan Lauwers e, nel corso del laboratorio, io e Nicolas ci siamo resi conto che avevamo molti interessi in comune, parlavamo già di Beckett. In quel momento abbiamo capito che ci sarebbe piaciuto, un giorno, formare una compagnia, a Parigi o in Spagna… L’opportunità è arrivata quando Àlex Rigola ha chiesto se qualche ex-laboratorista si fosse costituito in gruppo e io, coordinandomi con Nicolas, Francesca e Emmanuelle, gli ho inviato il progetto.
C’è un percorso di continuità tra l’esperienza fatta con Jan Lauwers e il progetto sul quale state lavorando?
Carlota: Credo che il progetto dei laboratori alla Biennale Teatro sia stupendo. Tutto il gruppo che ha lavorato con il maestro a Venezia è rimasto influenzato dal suo linguaggio. La modalità che seguiamo nella creazione di Swimming B si avvicina al modo di lavorare di Jan Lauwers: un continuo work-in-progress che si basa sulle proposte differenti degli attori.
Nicolas: Ognuno di noi era – ed è – attento a cercare nuovo materiale: dalla danza alla musica, fino alla scrittura e all’uso di testi. Con Lauwers abbiamo avuto l’opportunità di svolgere una ricerca personale, un’indagine sul materiale che sarebbe stato in seguito mostrato agli altri. Ciò che andava bene veniva utilizzato, il resto accantonato. Adesso facciamo lo stesso: ognuno presenta le proprie proposte e su quelle proviamo. Possono esserci cose sulle quali lavorare subito, altre da riprendere in un momento successivo.
State sviluppando questo tipo di ricerca anche al di fuori dell’esperienza veneziana?
Carlota: Sì: ho intrapreso questa ricerca a Madrid, con una regista che si chiama Ana Vallés (direttore del Matarile Teatro di Santiago de Compostela, ndr). È un modo di lavorare che mi piace molto e vorrei continuare a seguire questa direzione perché, nella mia esperienza in teatro e danza, non è stato sempre possibile portare in palcoscenico qualcosa di personale. È un percorso diverso in cui possono nascere proposte non limitate a testi shakespeariani, dove un regista dà indicazioni specifiche sul lavoro e dice come muoverti o che intonazione dare.
Nicolas: Anche io sto portando avanti questa ricerca con un’altra compagnia, con degli amici a Parigi. È forse per la condivisione di queste vibrazioni e gusti che, io e Carlota, ci siamo incontrati nel percorso laboratoriale. Ognuno ha una propria competenza, la mette a disposizione degli altri e ne scaturiscono nuove idee. Carlota ha cento idee al minuto! Lo stesso vale per Francesca e Emmanuelle. È molto interessante questo processo perché vengono messe in gioco tante energie differenti. Allo stesso tempo ci sono anche difficoltà; accade a volte che non si riesca a trovare facilmente un punto d’incontro, ma anche il non essere sempre sulla stessa vibrazione è interessante.
Nella presentazione di Swimming B si parla di a no-place place. Che vuol dire arrivare a Venezia e lavorare nella Sala Prove del Conservatorio?
Nicolas: L’anno scorso abbiamo lavorato con Jan Lauwers alla Sala Concerti; è bellissima ma è molto “pesante”. La Sala Prove è più neutrale e anche un po’ beckettiana: è accaduto che, mentre stavamo provando, dalla finestra abbiamo visto una nave passare. È surreale!
Carlota: Nella sinossi si legge no-lugar lugar perché in tutte le opere di Beckett è presente un luogo in cui non c’è paradiso e inferno; i personaggi sono chiusi in un piccolo spazio in cui non succede niente. La performance è ambientata in una stazione ferroviaria in cui però non arrivano, non si fermano e non partono treni. In questo senso i soggetti sono chiusi in uno spazio che è reale e irreale allo stesso tempo; è questo il contrasto a cui stiamo lavorando.
Nicolas: La co-presenza di illusione e realtà in una stazione…
Carlota: Non sai se i personaggi sono vivi o morti, o se sono vivi in una stazione morta. È come se gli attori fossero destinati a fare la stessa cosa ogni giorno, recitando la solita parte.
Nicolas: Nel lavoro c’è una circolarità, si ricomincia ogni volta, senza fine.
Carlota: In Swimming B. non ci sono testi di Beckett: sono presenti solo quattro o cinque battute, pronunciate da Nicolas. Beckett è una suggestione per noi, abbiamo colto alcune cose dalle sue opere, come da Not I e da Waiting for Godot, ma Nicolas non è né Vladimir né Estragon. Abbiamo preso alcuni elementi dall’universo dei suoi personaggi, ma non è più Beckett, ovviamente.
In questo momento il testo non è la cosa più importante del lavoro perché non abbiamo avuto tempo di soffermarci su questo, considerando inoltre che comunichiamo in quattro lingue differenti (inglese, spagnolo, francese, italiano, ndr). Ma nello sviluppo della performance ci piacerebbe chiamare qualcuno a curare la drammaturgia.
Trovate positivo il fatto che ci sia una presentazione pubblica al termine di questa residenza?
Nicolas: Sì, questo è molto importante perché ci restituisce come un’impronta, un’impressione del lavoro.
Carlota: Solitamente, dopo una sola settimana di lavoro, si ha molta paura dell’incontro con il pubblico, ma credo che in questo caso sia importante capire qual è il feeling che si instaura. Gli spettatori sanno che non è uno spettacolo, conoscono la situazione ed è straordinario sentire la loro risposta rispetto a quello che è un work-in-progress.