Abbiamo incontrato The Moors of Venice, formazione nata nel 2010 anche grazie al laboratorio diretto da Thomas Ostermeier alla Biennale di Venezia. Il gruppo è composto da Fèlix Pons, Cristiane Mudra, Valeria Almerighi, Valentina Fago, Nina Greta Salomé, Fortunato Leccese e Kostin Kallivretakis, ed è tornato in laguna per lavorare su Propaganda, la prima parte di un progetto più ampio, chiamato The Revolution Project.
Come si è formato il gruppo e come avete lavorato finora?
Cristiane: L’idea di creare questo gruppo è nata da uno scherzo. Andavamo molto d’accordo e pensavamo che sarebbe stato bello creare una compagnia internazionale. Così, abbiamo organizzato un incontro a Berlino, nell’agosto 2011. Ognuno ha proposto un progetto che avesse a che fare con il titolo Rivoluzione. Ognuno ha portato una propria idea e su quelle abbiamo iniziato a lavorare.
Nina: Facciamo una piccola premessa: agosto 2011 era il periodo immediatamente successivo alle manifestazioni in Spagna e alle rivoluzioni in Maghreb e Mashreq. Era dunque un tema importante da affrontare: eravamo un gruppo principalmente europeo, con persone di provenienza diversa e quindi ci sembrava attuale ridiscutere il teatro da quella prospettiva.
Fèlix: Ci sono state molte ipotesi di lavoro. Ora stiamo lavorando sul progetto InSIGHT, elaborato da Cristiane sulla Siria, e sul progetto Propaganda: un lavoro sulla rivoluzione per capire quando la rivoluzione perde il proprio significato e diventa solo un’idea antiquata.
C’è un percorso di continuità in questo progetto e nel lavoro fatto a Berlino rispetto all’esperienza con Thomas Ostermeier?
Kostis: A Thomas piaceva l’idea e durante il laboratorio ha proposto di formare il gruppo. Ma non ha mai avuto intenzione di incidere su questa scelta.
Fèlix: Con Ostermeier abbiamo affrontato Hamlet: e, nel mio caso, quello che mi è servito molto del workshop con Thomas è stata la modalità di lavoro sull’opera, molto stimolante. Era un approccio ludico, con una struttura molto semplice. Questo mi ha fatto anche capire che si poteva fare un lavoro creativo in un tempo così limitato. Poi voleva parlare dell’ETA, il gruppo indipendestista basco: mi chiedevo come poteva essere possibile che un gruppo armato esistesse ancora nell’Europa del 2011. Quando abbiamo iniziato a lavorare l’ETA era ancora attiva, anche se poi ha cessato la lotta armata. Nel nostro progetto, poi, è importante anche il rapporto della rivoluzione con l’utopia. Quello che è utopico, associato alla rivoluzione, diventa una distopia. Questo è stato il punto d’inizio, e volevo lavorare a questo soggetto con umorismo.
Kostis: Stiamo cercando di capire cosa accadrà a questa formazione, che non è tradizionale, e stiamo riflettendo sulle modalità di lavoro. L’invito che ci ha fatto la Biennale è stato molto utile non tanto per mostrare un lavoro o le influenze del workshop di Thomas Ostermeier: piuttosto quest’occasione, nella difficoltà di trovarci a lavorare tutti insieme, è stata un’opportunità di incontro. Insistiamo su questo, perché sentiamo qualcosa nel lavorare insieme e speriamo, con il tempo, di trovare il modo di sviluppare i nostri progetti.
Quale sarà la prossima tappa di The Revolution Project?
Cristiane: Sarà InSIGHT. L’idea è nata da un mio viaggio in Siria. Non avevo pianificato di andarci durante la rivoluzione, ma è successo e sono andata. È stato spaventoso notare la distanza tra la realtà del luogo e del momento e la sua rappresentazione mediatica. Il lavoro è iniziato con una improvvisazione originata dalle esperienze che ho vissuto in Siria e che mi hanno colpito. Ho fatto ricerche su testi e, rispetto alla mia esperienza, è stato impressionante scoprire quanti paesi e interessi fossero coinvolti. Il testo della performance è composto da documenti ma è costruito in forma di dialogo: un testo che spinge verso differenti direzioni e con differenti risorse, per dare l’impressione di confusione ma che crea, allo stesso tempo, un racconto sulla Siria.
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