Per il progetto B.Stage 2014 chiediamo agli artisti, ai professionisti e operatori giunti a Bassano come spettatori di B.Motion Teatro, di svelarci qual è lo spettacolo che ha “segnato” la loro vita. Giorno dopo giorno annotiamo in questa pagina le loro risposte!
Daniele Timpano (attore/autore)
Dopo aver visto alcuni spettacoli di Carmelo Bene (come Pinocchio oppure Figlia di Iorio), Mimmo Cuticchio e Leo De Berardinis ho pensato: il teatro è una cosa bella, potrebbe essere bello anche farlo!
Roberta Ferraresi (Il Tamburo di Kattrin)
Caligola di Roberto Latini, quando avevo 18 anni, perché ho capito cosa poteva fare il teatro e che ci volevo lavorare.
Luca Scotton (Babilonia Teatri)
Il pomodoraro di Dino Coltro visto nel 2006 a Nogara, in provincia di Verona, perché è stato il primo spettacolo in cui ho fatto lo spettacolo.
Elena Lamberti (operatrice)
Il Principe Costante per la regia di Pier’Alli al Teatro Fabbricone di Prato nel 2002. Mi sono laureata in Storia dell’Arte con una tesi su uno scenografo del 1700 e vedere alcune delle impostazioni studiate trasposte in scena – in un altro contesto rispetto al teatro all’italiana – è stata un’altra visione!
Carlo Mangolini (direttore B.Motion Teatro)
Lo spettacolo Giulio Cesare di Socìetas Raffaello Sanzio visto nel 1997 al Fabbricone di Prato durante il corso dell’ETI; questo lavoro mi ha aperto delle possibilità altre sul teatro e sulla modalità di reinterpretare i classici.
Rosa Scapin (direttrice OperaEstate Festival Veneto)
Ogni spettacolo cambia la vita, anche quelli che stiamo vedendo in questi giorni. Dovendo scegliere come spettatrice dico: Salvo Randone in Pane altrui di Turgenev, La Bottega del Caffè di Fassbinder fatto dal Teatro dell’Elfo nel 1991 e Descrizione di una battaglia di Giorgio Barberio Corsetti.
Ilaria Dalle Donne (attrice)
Mi interessa la tenacia del fare, chi segue una direzione, una linea, chi possiede una sincerità dell’essere. Penso al lavoro di artisti come Pippo Delbono, Emma Dante, Rodrigo Garcia, Fura dels Baus, Giorgia Nardin. Gli spettacoli che mi vengono in mente in questo momento sono Tre pezzi facili degli Artefatti e Cuore di Silvia Costa, anche per la curiosità che sto sviluppando per il teatro ragazzi.
Alessandro Pezzali (Teatro Magro)
Twin rooms dei Motus per le potenzialità della scena, l’idea di contemporaneo – essere nei luoghi prima che le cose accadano -, la moda, il pop, la musica del presente. Dei Motus amo la non stanzialità che diventa anche un modo per stare in scena e fare teatro.
Fabrizio Arcuri (regista*special guest via Facebook)
Ce ne sono due e non e’ possibile considerarli separatamente. Hamletmaschine degli allora Magazzini Criminali e Gilgamesh della Raffaello Sanzio. Sono i due lavori che a sedici anni mi hanno fatto decidere che quello era il mio lavoro…
Rossella Tansini (operatrice)
La classe morta di Kantor, visto a Milano al Teatro dell’Arte. Erano gli anni Ottanta.
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Renato Palazzi (critico, Il Sole 24 Ore / Delteatro)
Potrei rispondere che tutti gli spettacoli cambiano la vita.
Da un certo punto di vista, ci sono degli spettacoli che mi hanno cambiato, non la vita – altrimenti anch’io parlerei di Kantor –, ma il modo di percepire un grande problema: sono quelli di Ariane Mnouchkine, soprattutto gli ultimi, dal Le Dernier Caravansérail all’ultimo che si è visto in Italia, realizzato da un gruppo afgano affiliato al Théâtre du Soleil. Sono lavori che trattano i temi dell’immigrazione, della fuga dal proprio Paese, del sottrarsi a condizioni totalitarie. Questi hanno profondamente cambiato la mia visione di tali problemi.
Roberto Rinaldi (critico, Rumor(s)cena)
Lo spettacolo Gli amanti dei miei amanti sono i miei amanti, visto al Teatro Duse di Bologna a metà degli anni ’80, mi ha affascinato per la capacità del regista e drammaturgo Giuseppe Patroni Griffi di raccontare una storia quotidiana in maniera seducente. Il libro più bello di Patroni Griffi invece è La morte della bellezza. Vederlo trasposto in teatro sarebbe uno dei sogni della mia vita.
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Lorenzo Parolin (giornalista, Il Giornale di Vicenza)
È stata la prima volta che ho utilizzato la parola “capolavoro”: L.I. ⁄ Lingua Imperii (leggi l’intervista) di Anagoor.
Come spettacolo musicale, invece, è stato la prima esecuzione in Italia del pianista newyorkese di origine cingalese: Vijay Iyer. Ha studiato fisica ad Harvard e ottenuto un dottorato sulla fisica delle onde sonore a Stanford ma poi ha deciso di dedicarsi alla musica. È stata una cosa strepitosa: come se avesse messo in musica l’universo.
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Silvia Mei (studiosa e critica)
Big in Bombay di Costanza Macras
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Enrico Bettinello (direttore Teatro Fondamenta Nuove di Venezia)
Nessuno. Però devo dire che Le balene restino sedute di Alessandro Bergonzoni, visto a 18 o 20 anni, mi ha fatto capire che il lavoro con le parole non era un semplice gioco, ma poteva anche essere inquadrato in una forma, avere una grande forza politica e non solo essere un divertissement.
Alessia Zanchetta (Responsabile Comunicazione Operaestate Festival)
Uno spettacolo di Batsheva. Mi ricordo che guardandolo mi sono detta: ecco un mondo nuovo a cui non avevo ancora avuto accesso.