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Gilberto Santini

Questo contenuto fa parte di unLOCKable. Una rassegna stampa corale

 

 

Le parole più potenti di questo tempo inedito e drammatico che abbiamo vissuto sono per me quelle pronunciate da Papa Francesco – da solo in una Piazza San Pietro buia, deserta e sferzata dalla pioggia – venerdì 27 marzo, quando lo smarrimento e l’inevitabile solitudine avevano già preso stabile dimora in me.

Avvenimento che si faceva storia già nel momento in cui stava accadendo, sulla cui complessità e stratificazione, compresa le possibilità profondamente contraddittorie con cui lo si può essere vissuto, ha ben scritto Helga Marsala su “Artribune”.

Credenti o meno poco importa, le sue sono state le parole – di un padre, di un amico – in cui hanno trovato perfetta sintesi le tante inquietudini che agitavano cuore e pensieri in quei giorni. E che anche oggi rileggo con emozione. Soprattutto in alcuni passaggi folgoranti, come questo: “La tempesta smaschera la nostra vulnerabilità e lascia scoperte quelle false e superflue sicurezze con cui abbiamo costruito le nostre agende, i nostri progetti, le nostre abitudini e priorità. Ci dimostra come abbiamo lasciato addormentato e abbandonato ciò che alimenta, sostiene e dà forza alla nostra vita e alla nostra comunità”. Le rileggo spesso per non ricadere da subito ora negli stessi errori.
Non dimenticando mai come ha detto Forster Wallace che “nelle trincee quotidiane della vita da adulti l’ateismo non esiste. Tutti venerano qualcosa. L’unica scelta che abbiamo è che cosa venerare. E un motivo importantissimo per scegliere di venerare un certo dio o una cosa di tipo spirituale […] è che qualunque altra cosa veneriate vi mangerà vivi”.

 

Gilberto Santini
direttore AMAT
11 giugno 2020

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