«Se ci chiudete in una cella e ci lasciate lì a guardare il soffitto, noi ci incattiviremo e usciremo dal carcere peggiori di prima. Ma dateci delle alternative, come a me sono state date grazie a questo laboratorio teatrale, e ci darete la possibilità di imparare cose nuove, di metterci in gioco, di tornare a vivere. E di uscire da qui davvero cambiati.»
Queste sono alcune delle parole con cui Gdoura Maher ha commentato la propria esperienza di attore-detenuto.
Kessaci Farid è uno dei tre detenuti che, ottenuto il permesso premio dal carcere, ha partecipato venerdì 22 maggio al Teatro alle Maddalene di Padova a uno spettacolo, frutto, ancora in fase di maturazione, del laboratorio teatrale condotto da M.Cinzia Zanellato e Andrea Pennacchi nel carcere Due Palazzi.
Questo primo studio del laboratorio Volario-Teatro Civile, nasce dall’incontro tra il gruppo di persone detenute di TAM Teatrocarcere e un gruppo di giovani allievi attori di TAM/Oikos, officina delle arti sceniche.
Il tema del laboratorio è stato tratto da Il Verbo degli Uccelli, poema del persiano Farid ad-Din Attar, poeta mistico vissuto tra il 1100 e il 1200. Il poema, che prende spunto da un’antica leggenda, narra di un viaggio che gli uccelli decidono di intraprendere sotto la guida dell’upupa alla ricerca del mitico uccello Simurgh. Essi desiderano trovare Simurgh perchè diventi il loro re. Il viaggio è lungo e difficile, e gli uccelli cercano una scusa dopo l’altra per tornare indietro, per interromperlo. L’upupa incoraggia i suoi compagni di animo debole, raccontando loro storie edificanti.
Volario si apre su due scale a pioli accostate a formare un timpano: un tetto, con accovacciati sopra e sotto tanti uccelli dormienti, tutti uguali, dagli abiti bianchi, eppure tutti diversi, ognuno contraddistinto da un differente elemento colorato, che contribuisce a caratterizzarli e a dare brio alla scena. A ritmo di musica, gli uccelli si svegliano, giocano, bisticciano, si rincorrono, in una frenesia crescente placata solo dalle parole dell’upupa che, impersonata di volta in volta da diversi attori, si erge tra il gruppo e si adopra per convincerlo ad intraprendere il viaggio. La scelta musicale è un sottotesto fondamentale in questo lavoro. Sottolinea i movimenti del gruppo rendendoli ora divertenti, ora estremamente poetici. E’ la musica che dà alla scana iniziale, in cui i volatili si rincorrono lanciandosi i guanciali sui quali prima erano appisolati, carattere di gioco anzichè di lotta. Ed è sempre la musica che ci rende più facile l’interpretazione di ciò a cui assistiamo. Le fatiche degli uccelli durante il viaggio, le loro paure, a volte la loro resa, ci vengono trasmessi tramite una gestualità intensa. Noi da spettatori la guardiamo curiosi, ma da subito non la comprendiamo esattamente, poi sopraggiunge la musica e tutto si fa chiaro.
«L’obiettivo del testo» – spiega Andrea Pennacchi durante la presentazione di questo spettacolo-prova aperta, la cui versione definitiva ci verrà proposta a dicembre, «è quello di cercare una complicità con il lettore (in questo caso spettatore), viandante anche lui, per indicargli un cammino possibile, diverso, difficile. La moltitudine degli uccelli impauriti siamo noi. Noi che, dopo lunghe resistenze, finalmente ci accingiamo a partire, spinti da un’upupa implacabile, che a volte odiamo, che ci schiaffeggia con i suoi racconti per farci uscire dal torpore in cui ci ha trovato.» Il teatro inteso, quindi, come territorio di scambio e condivisione che, mediante momenti di lavoro comune, arricchisce l’esperienza artistica di contenuti personali e sociali.
Una regia frizzante, che sapientemente riesce ad orchestrare le peculiarità di ciascuno al fine di ottenere una messa in scena semplice ed efficace, divertente e commovente. Il tutto arricchito dalla voce calda e profonda di Kessaci Farid nel narrarcialcuni degli aneddoti dell’upupa, dall’invidiabile mimica comica di Kessaci Faridnell’illustrarcene altri e dalla dolcezza di Maria nel raccontarci il suo incontro con la fenice. Uno spettacolo toccante proprio per la sua apparente levità. E al tempo stesso uno spettacolo che colpisce nel segno. Perché attira l’attenzione su un problema del quale, usciti da teatro, si è portati a interessarsi anche singolarmente. Il desiderio di approfondire la conoscenza della situazione nelle carceri, ci introduce in una strada estremamente complessa, costellata di quesiti dalle mille possibili risposte.
Riflessioni – dalle quali diventa impossibile prescindere nel tentativo di comprendere il problema e ipotizzare soluzioni – riguardano il sovraffollamento dei penitenziari e quali possono esserne le cause, la mancanza di fondi e l’esistenza di eventuali sistemi di finanziamento alternativo, la difficoltà per i detenuti di riabilitarsi, integrarsi, cambiare vita una volta usciti dal carcere e quali sono i fattori sui quali si potrebbe intervenire.
Visto al Teatro alle Maddalene di Padova
Sara Furlan