Recensione di Comeacqua – Muta Imago
Sul palco due uomini (Glen e Simon Blackhall), che escono da una sorta di acquario, uniti da una corda. Sembra la nascita di due divinità: l’immagine, nella sua semplicità, ha qualcosa di mitico o miracoloso. Una voce off enuncia dati scientifici sull’elemento a cui è dedicato il lavoro: ne emerge che, di tutta l’acqua esistente sul nostro pianeta, quella presente negli organismi viventi rappresenta lo 0,00005%. Un dato infinitesimale, da cui parte tutto il processo creativo in cui l’acqua diviene un elemento di apprendimento, di crescita e di conoscenza per i due “neo-uomini”. Come due Adamo contemporanei, o semplicemente due bambini – perché la storia del primo uomo è la storia di tutti gli uomini – iniziano a perlustrare, a scoprire lo spazio fatto di corde, sacchetti, un piano trasparente e due strutture di tubi neri. Il suono li accompagna nelle loro ricerche: con una barchetta di carta, un po’ di vernice blu, ricostruiscono un mare in tempesta che ha tutta la forza dell’infanzia. Nuvole, pioggia, onde, grandine; non manca nulla: con pochi, semplici, essenziali elementi ricostruiscono un mondo, chiedendo al pubblico di ‘giocare’ con loro, di lasciare la fantasia correre lungo i rigoli di acqua che scivolano sul palco.
Ma il tempo dei giochi finisce presto. Il cordone ombelicale si spezza, e i due prendono strade diverse. L’acqua può, a questo punto, divenire anche un elemento di morte, che ha l’immagine di un distacco, di un suicidio, reso in immagine da un completo ‘da grandi’ che i due attori lentamente, e simmetricamente, indossano. La loro ricerca, da infantile, si fa scientifica. Compaiono ampolle di vetro, tubi, imbuti. L’acqua viene travasata, colorata, illuminata: come se si stessero ricercando tutte le potenzialità, le forme, le capacità sceniche e performative di questo elemento, e, insieme ad essa, dei corpi che lo completano in scena. Fino ad arrivare alla soluzione più semplice e ‘cinematografica’ della danza nella pozzanghera, pochi passi e qualche schizzo, che fanno chiudere il cerchio di questa composizione: i due si tolgono nuovamente il vestito, e tornano a legarsi insieme. Non più con la corda, ma con un lungo lenzuolo arrotolato, fradicio, che da icona o sindone diviene rinnovato legame. Tutta l’acqua in scena è andata dispersa, riversata sul palco e negli abiti inzuppati. Ne resta solo una bolla piena, nella quale tornerà a navigare la barchetta di carta. Dietro di essa i ragazzi si distendono in posizione fetale, forse pronti ad una nuova nascita.
In un gioco coreografico perfetto ed emozionante – i due attori hanno sempre una concentrazione e una complicità, in scena, tali da mantenere il lavoro in una costante tensione. Il lavoro è complesso, carico di citazioni e di idee fin quasi alla saturazione, senza risultare intellettuale, supponenente o incomprensibile, perché non dimentica mai le emozioni, anche quelle più sottili, nascoste, dimenticate. E’ in questo ambito che avviene la ricerca di Comeacqua, uno spettacolo che è davvero come l’acqua: limpida o torbida, sorprende, in alcuni momenti, come un temporale estivo, mentre in altri scivola leggero come pioggia primaverile, e, senza accorgersene, alla fine ci si ritrova zuppi di sensazioni.
Visto al Teatro Fondamenta Nuove, Venezia