Recensione a Nascita di una Nazione – Accademia degli Artefatti
«La vostra città è in rovina.» Esordisce così lo spettacolo Nascita di una nazione, scritto da Mark Ravenhill e portato in scena dall’Accademia degli Artefatti. Luci accese in platea, nessuna scenografia, gli attori entrano in scena come appena sbarcati dall’aeroporto. È un gruppo d’artisti occidentali appena arrivati in una città distrutta dalla guerra. Il dialogo è aperto con il pubblico, domande che non trovano risposta: si parla di responsabilità, chi ha ridotto così la città, come fare a risollevarla. La risposta è semplice: gli artisti si propongono di ricominciare dalla cultura, dall’arte, far rinascere un sentimento comune, iniziare ad esprimere per ritrovare la libertà.
Incredibilmente attuale il testo del drammaturgo inglese e intelligente la scelta di metterlo in scena da parte di Fabrizio Arcuri, regista di Accademia degli Artefatti. Nascita di una nazione fa parte di una serie di 17 frammenti teatrali basati sulla tematica della seconda Guerra del Golfo, ed ispirati ad altrettanti poemi o film famosi (tra cui La guerra dei mondi, Odissea, Le troiane, Orgoglio e pregiudizio). Nonostante il riferimento all’oriente sia chiaro, non si può non pensare all’Italia ed alla situazione culturale attuale: tagli, censure e limitazioni. Una riflessione sicuramente valida, ed un operazione drammaturgica e registica di valore.
La compagnia, ormai famosa per la ricerca di drammaturgie ipercontemporanee o post moderne che dir si voglia, compie l’ennesima azione spiazzante. La ricerca e lo studio su personaggi non personaggi coinvolge il pubblico, lasciandolo a volte disorientato, provocando reazioni diverse tra riso e perplessità. Il risultato però è garantito: la giusta sensazione di impotenza di fronte a disastri che toccano da lontano, si ripercuote sulla platea, coinvolgendola in un gioco di Voi/Noi, un rapporto attore spettatore che non lascia scampo.
Ancora una volta il confronto con le nuove drammaturgie provoca un sansazione destabilizzante: testi brevi, battute sintetiche, un grosso lavoro di interpretazione delle stesse parole declinate in mille sfumature diverse. Semplicità ed efficacia, rendono la regia quasi invisibile, lasciando l’opera proprio nel momento in cui sembra prendere il via. La chiusura è infatti un inizio, un’apertura concettuale verso tutto quello che potrebbe succedere se ‘la città’ iniziasse ad esprimersi attraverso l’arte. Lo spettacolo basato sull’impossibilità d’esprimersi, una stimolazione ed invito all’espressione, si chiude proprio nel momento in cui l’arte inizia a manifestarsi: «Sta succedendo». Sta succedendo?
Visto al Bastione Alicorno, Padova
Camilla Toso