Recensione di Tragedia tutta esteriore – quotidiana.com
Staticità, lentezza, specularità e vuoto: questi alcuni dei principali elementi di un lavoro fresco, surreale e raggelante. La giovane compagnia dei quotidiana.com crea un lavoro innovativo, che ritrova le sue radici nel teatro dell’assurdo beckettiano, ma che allo stesso tempo si spinge oltre, portando la sua assurdità alla deriva. Tragedia tutta esteriore propone un tipo di surrealismo imbevuto di insensata quotidianità, facendolo diventare la reale rappresentazione di una coppia ormai stanca, che non riesce a comunicare, ma che continua a provocarsi: proprio qui si consuma la tragedia. Un uomo e una donna seduti l’uno di fronte all’altra si sfidano, attendono immobili, si fissano e mai si sfiorano. Roberto Scappin e Paola Vannoni sono semplicemente loro stessi, non fanno una piega; sono bravissimi nel tenere i loro corpi immobili nella stessa posizione, o muoverli in maniera rallentata, in perfetta sincronia per alzarsi o per eseguire piccole gestualità prive di significato, che rendono la situazione ancora più straniante.
Ritorna in mente il film di Michael Haneke Funny Games, dove due giovani entrano in una casa con delle mazze da golf, vestiti rigorosamente di bianco, e giocano gratuitamente al massacro con i proprietari. In Tragedia tutta esteriore i protagonisti, immersi nelle luci fredde dei neon posti lungo la spoglia scena, hanno in mano due racchette da ping pong e dei vestiti candidi; ma non vi è nessuna violenza fisica tra di loro: niente è mostrato visivamente, l’accanimento verso l’altro è esclusivamente verbale, è presente nei loro dialoghi, nelle loro idee perverse, nelle parole dette e nelle domande poste che difficilmente trovano un filo conduttore tra di loro. Gli argomenti trattati spaziano tra diverse tematiche in modo del tutto casuale: si parla di un Dio single, di ritocchi estetici, di Divina Commedia, di categorie sociali privilegiate a cui porre delle punizioni, del proprio corpo come carne d’allevamento e della morte. E poi pause fatte di lunghi silenzi, mentre i due si guardano negli occhi, gelidamente, come se fossero pronti a sbranarsi l’un con l’altra.
Nonostante abbiano delle visioni opposte, riescono ad essere perfettamente speculari, alternando i loro dialoghi spesso ironici e divertenti a frammenti di pensieri ripetuti all’unisono: “Perché mi guardi negli occhi?/Perché tutto è bianco./ Perché mi guardi negli occhi?/ Perché tutto è nero.”
Esprimono il vuoto dell’esistenza, l’inutilità di condurre una vita dove non si è ‘diventati qualcuno’ o dove non si è capito il mondo. Ma come si può averlo compreso, quando è questo il primo ad essere pieno di contraddizioni e assurdità. La vita stessa è un paradosso e nel lavoro dei quotidiana.com essa diventa inutile, una ‘qualsiasi vita di nessuno’, dove la tragedia è della propria esistenza, internamente svuotata di significato.
Carlotta Tringali