Recensione de L’inseguitore – regia di Arturo Cirillo
Un testo che parla al presente, spiazzante e intelligente, una messinscena impeccabile e puntuale con un piccolo cast di attori trasformisti in grado di interpretare molteplici personaggi: il drammaturgo Tiziano Scarpa e il regista Arturo Cirillo riescono a creare una collaborazione perfetta per L’inseguitore, andato in scena solo per pochi eletti al Teatro Goldoni di Venezia.
Capita raramente di riuscire a vedere un teatro fresco e innovativo che non si avvalga di musiche elettroniche feroci o di scene visive ad impatto, relegando il testo a un ruolo marginale. La drammaturgia di questa pièce è infatti al centro dell’attenzione e si sposa perfettamente con ogni singolo movimento o respiro degli attori in scena; riesce a tenere alta la tensione, facendo crescere diversi interrogativi nello spettatore che segue molto da vicino – seduto comodamente sul palco – la vicenda del protagonista Aloisio. Cirillo dà vita a questo vecchio dai capelli bianchi e spettinati, vestito con un impermeabile dotato di ogni tipo di gadget, che pedina le persone appena uscite da galera senza motivo: dapprima sembra volerli importunare, poi aiutarli, dandogli il suo appoggio e affetto incondizionato; ma è impossibile prevedere ciò che il personaggio va realmente architettando con il suo strano comportamento.
Diverse sono quindi le tappe di avvicinamento del vecchio enigmatico verso Nic, un giovane spaesato, finito in carcere per aver commesso un omicidio e ora di nuovo in libertà. Interpretato da un convincente Michelangelo Dalisi, quest’uomo pieno di rabbia incontra il suo inseguitore per caso, in una città non specificata, ma caratterizzata dal traffico selvaggio e dal grigiore di una qualsiasi periferia italiana. Lo spettatoresegue Nic nello scoprire quali veramente siano le intenzioni del vecchio Aloisio che, nonostante il ragazzo non smetta di insultare ferocemente, continua a inseguirlo senza sosta. Continuando a spiazzare con le sue proposte stravaganti, Cirillo diventa un vero e proprio ‘maniaco dell’illusione’. Geniale e di forte impatto emotivo è il fine del suo inseguimento: cercare un uomo-bestia per sua figlia, inchiodata a una sedia e in preda a continui spasmi, affinché la metta incinta; solo così dal suo corpo-gabbia la sua vita tornerebbe ad avere un senso.
La dura quotidianità di questo vecchio uomo viene sapientemente inframezzata da momenti onirici che vedono in scena dei personaggi assurdi, sempre interpretati dai bravissimi e divertenti Salvatore Caruso e Sabrina Scuccimarra. Ed è così che con delle parrucche coloratissime e surreali nel sogno di Aloisio si incontrano Temistocle e Sofonisba: sembrano accettare reciprocamente i loro problemi fisici eccentrici e caricaturali, ma si perdono nella semplicità di un nome, troppo normale per essere sopportato.
I costumi di Gianluca Falaschi e le luci di Simone De Angelis sono perfetti nel rendere questa atmosfera straniante e grottesca, e allo stesso modo le musiche di Francesco De Melis riescono a riprodurre suoni di clacson e automobili che riportano con l’immaginazione su una strada di periferia. Creata da Dario Gessati, la scenografia è semplice, composta da alcuni pannelli mobili che servono per allungare il percorso del pedinatore e del pedinato: ma anche per celare o per rivelare a poco a poco oggetti o personaggi.
Discutibile la scelta di farlo per soli trenta spettatori: L’inseguitore regalerebbe le stesse emozioni anche ad una platea piena; riuscendo a coinvolgere con il suo ritmo acellerato, con le sue microsituazioni stranianti e con la sua cruda e finale amarezza: ossia quella di un uomo che vorrebbe regalare un po’ d’amore a sua figlia senza purtroppo riuscirvi.
Visto al Teatro Goldoni, Venezia
Carlotta Tringali