Recensione a Otello – Pantakin
Otello è il diverso, lo straniero venuto da un indefinito ‘oriente’ che, convertitosi al cristianesimo, nella Repubblica Veneta riveste un ruolo rispettabile (generale a capo di un esercito) ed è innamorato – ricambiato – della fanciulla più bella della città. Una posizione davvero invidiabile, soprattutto da chi è invece balbettante e in continua attesa di promozione: Iago, il quale, non riuscendo a trovare realizzazione, concentra le proprie energie al solo scopo di distruggere l”immigrato”.
Scegliere di mettere in scena l’Otello di Shakespeare oggi, sopratutto nel nord est d’Italia, dove più è concentrato un pensiero politico di diffidenza e ostilità verso l’altro – l’immigrato extracomunitario – non può essere una scelta non consapevole. Infatti la compagnia Pantakin da Venezia sceglie, ad esempio, di citare le “ronde”, inneggiate assieme alla Lega dal vecchio veneziano Pantalone.
I livelli narrativi, infatti, sono molteplici: inizialmente il pubblico si scopre ad osservare una compagnia di comici dell’arte che scelgono di mettere in scena l’Otello. Ovviamente a modo loro, con Arlecchino e Pantalone a completare la cerchia dei personaggi shakespeariani.
Utilizzando un interessante e duttile struttura scenografica lignea (che ricorda un castello per bambini), con cambi di costumi e di scena a vista, prende vita la storia nella storia. In una ritmica narrazione non priva di interruzioni causate dagli stessi comici che, per un litigio o un commento, riportano a galla il livello sottocutaneo della rappresentazione. La finzione è esplicita: dall’uso delle maschere messe e tolte in continuazione, a quello della sentinella-fantoccio che ha il solo compito di essere uccisa e spostata, fino ai simbolici nastri rossi sventolati ad ogni pugnalata. È un teatro che vuol condividere, senza celarla, la dimensione ludica e pura della finzione, in una inesorabile e, a volte, crudele trasformazione in sempre nuovi personaggi, che a lungo andare rischia di rendere fantasma ogni attore.
Funziona il lavoro drammaturgico di Roberto Cuppone, che convince nel non facile compito di fondere storie e tradizioni teatrali differenti e riuscendo, al contempo, a rivolgersi al pubblico attuale. Le belle maschere di Stefano Perocco di Meduna e Roberto Ledda sono molto espressive, inquietanti e piene di fascino; i bei costumi di Licia Lucchese sono duttili e fiunzionali. Aiutato dall’innegabile magia del Bastione Santa Croce, lo spettacolo diretto da Michele Modesto Casarin convice e rapisce un pubblico divertito e sinceramente coinvolto che ringrazia di cuore gli abili attori e i caldi musicisti del gruppo Calicanto, che assieme a Roberto Kriscak hanno fatto risuonare il vento notturno di Padova.
Agnese Bellato