Recensione a The Basement– Il seminterrato regia di Rita Maffei
Lui, lei, l’altro. E viceversa. Potrei iniziare dicendovi che la storia è quella di un amore, anzi due. La storia di due amici che si contendono la stessa donna, o meglio ragazzina. Una convivenza forzata e voluta, quella di Stott, Law e Jane. Un rapporto morboso che slitta continuamente tra l’amore e l’amicizia. Tra le quattro pareti del seminterrato si consuma un “triangolo” scaleno e in continuo mutamento. Prima la gelosia dell’amico nei confronti di Jane. Poi l’amore clandestino, la rivalsa, e poi tutto di nuovo, tutto daccapo. Potrei raccontarvi questo. E invece no. Al centro di The Basement-Il seminterrato non c’è solo la storia di tre vite passate a consumarsi l’un l’altra. C’è la storia di un testo. Harold Pinter scrisse quest’opera nel 1966, e la catalogò nella sezione teatro. Da quella data fu messa in scena in televisione e al cinema, raramente a teatro, mai in Italia. La particolarità dell’opera sta infatti in un taglio drammaturgico totalmente ibrido tra cinema e teatro. Il susseguirsi delle scene è intervallato da didascalie che indicano ‘interno d’appartamento/esterno pub/esterno spiaggia’. Una scansione ritmata e veloce che non presuppone un cambio scena teatrale ma una partitura decisamente cinematografica. È proprio su questo punto che si sviluppa l’idea registica di Rita Maffei: portare il testo a teatro mantenendo l’ambiguità della dimensione televisiva. In scena tre attori supportati dalla presenza di due cameramen e un servo di scena: recitazione, cambi di costume, trucco, riprese e montaggio tutto in presa diretta. Il pubblico assiste ad un vero e proprio making-off di uno sceneggiato Anni ’60, continuamente in bilico tra l’ironia del processo e la tensione dell’azione. I piani si moltiplicano, la scena, lo schermo, il monitor della macchina da presa, gli attori e il cameramen. L’effetto è lo stesso di Las Meninas, il famosissimo quadro di Velàsquez, questa volta però il pubblico è l’uomo che guarda in fondo alla scala e il quadro è lì davanti ai suoi occhi.
Bravi gli attori: Gabriele Benedetti (Accademia degli Artefatti), Alessandro Genovesi e Angelica Leo dimostrano di saper gestire una recitazione – non più solamente teatrale – che richiede precisione e accortezza nell’espressione catturata e restituita poi dal mezzo cinematografico. Interessante messa in scena che risulta però macchinosa nella realizzazione, e spezza forse troppo il ritmo della storia, pensata comunque per essere fluida ed arrivare ai climax di tensione tipici di Pinter. Scelta coraggiosa, quella di Rita Maffei; un testo inedito, tradotto appositamente da Alessandra Serra,riporta in scena nella sua dimensione originale il difficile dialogo tra teatro e televisione, con tutte le sfumature e contraddizioni del caso.
Visto a CSS Teatro Stabile di Innovazione, Udine
Camilla Toso