Recensione a Madeleine – Muta Imago
I ricordi non si cancellano. Decidono loro come e quando tornare alla mente: non si è padroni della propria memoria, non si può controllare e nemmeno decidere come rivivere quei momenti appartenuti al passato ma che continuano a riproporsi,a loro modo, nel presente. Si manifestano come ombre, come impercettibili e sfocate immagini ingrandite, distorte, offuscate. E soprattutto quando te ne vuoi disfare, queste ombre diventano un incubo da cui non si trova via di uscita, da cui non si può far altro che provare a correre via, ad allontanarsi. Ma non si può scappare dalla propria memoria, dal proprio essere. I ricordi parlano di noi. Dicono chi siamo, da dove veniamo. Non esiste nessun metodo per poter vivere senza.
Il gruppo romano Muta Imago – tra la nuove promesse del teatro di ricerca italiano e non solo – abbandona l’uso della parola – presente nei precedenti lavori attraverso registrazioni audio – dando vita a delle vere e proprie visione oniriche, degli incubi fatti di oscurità e sonorità in crescendo che immergono il teatro in un’atmosfera cupa, immaginifica ma terrorizzante. Con Madeleine, ultimo anello di una trilogia sulla memoria iniziata con (a+b)³ e proseguita con Lev, i ricordi si concretizzano in scena attraverso effetti visivi di forte impatto che costringono lo spettatore a rimanere inchiodato alla poltrona a domandarsi cosa da un momento all’altro apparirà da quel buio e dal fumo che immergono palco e platea durante tutto lo spettacolo.
Le soluzioni registiche della giovane Claudia Sorace stupiscono nella loro genialità e spremono senza ripetizioni ogni possibilità di messinscena di ombre e ricordi che si manifestano all’improvviso. Attraverso un impianto scenografico, curato da Massimo Troncanetti, fatto di grandi specchi, lampade, porte scorrevoli e proiezioni, i tre attori Irene Petris, Glen Bleckhall e Chiara Caimmi si alternano concitatamente sul palco in una struttura poco stabile e in continuo movimento, proprio come la mente – zona del corpo che racchiude ricordi. Gli specchi svelano un volto differente da quello di chi vi si riflette: appare a tratti, come se vi fosse imprigionato dentro un’anima o uno spirito, il volto di Bleckhall.
O Petris-Madeleine trova la sua duplice essenza in Chiara Caimmi, come se lei stessa specchiandosi si vedesse diversa, un’altra sé. Le porte scorrevoli diventano invece soglie che mostrano un’ombra, aldilà, impossibile da raggiungere, troppo veloce e sfuggente per poterla afferrare o per trovare un minimo contatto. Le ombre si fannoinquietanti, piccole luci vengono accese ma non illuminano abbastanza da poter trattenere il ricordo e la presenza di lui, che torna, sfiorando lei, Madeleine.
Visivamente senza sbavature, Madeleine sembra però mancare di una struttura drammaturgica ben più solida – qui curata insieme al suono da Riccardo Fazi – che dia allo spettacolo una maggiore completezza. Se la giovane compagnia si era distinta proprio per il suo uso sapiente e consapevole della parola, qui la rifiuta lasciando totale spazio alla suggestione. Mentre in Lev si fornivano al pubblico delle tracce per penetrare appieno nello spettacolo attraverso delle registrazioni vocali e parole scritte, in questo ultimo lavoro si rimane più distanti, senza riuscire ad inoltrarsi nei veri meccanismi che tormentano la protagonista. Lo spettatore rimane infatti stordito dalle potenti immagini ma, a differenza dei loro lavori precedenti, non trova quegli appigli narrativi che renderebbero Madeleine un gioiello teatrale, degno successore di Lev.
Visto al Teatro G.B. Pergolesi, Jesi (AN)
Carlotta Tringali