Recensione a Orson Welles’ roast – Giuseppe Battiston
Dal fondo del tunnel centrale del Bastione Alicorno, con un sigaro in mano, in accappatoio e stivali neri, è apparso, ieri sera, con passo lento, Orson Welles. L’interpretazione di Giuseppe Battiston nel ruolo del genio del cinema, è stata così impeccabile ed esilarante che quasi si credeva in un ritorno del regista americano, tutto questo grazie al suo physique du rolé e all’impressionante somiglianza, ma soprattutto alla bravura nella costruzione di un personaggio efficace, irriverente e coerente. Ma, d’altronde, la “gente crede a tutto”, come Welles capì già negli anni ’30 e dimostrò con pericoloso sarcasmo con La guerra dei mondi: il finto notiziario radiofonico che, annunciando l’invasione da parte dei marziani, scatenò il panico negli Stati Uniti. Basta solo una melanzana con dei bastoncini a sostenerla, con la giusta illuminazione, per creare un Ufo.
Con Orson Welles’ Roast Giuseppe Battiston e Michele De Vita Conti, firmatario anche della regia, compongono un omaggio in forma di roast – arrosto: una sorta di ironico elogio per iperboli inflitto, nella tradizione anglosassone, alle persone importanti in occasione di celebrazioni che li vedono protagonisti. Lo spettacolo diventa, così, decisamente divertente, ironizzando sul buon appetito di Welles, sulla sua genialità, sulla sua carriera segnata da grandi successi e infiniti ostacoli. Ma lo sfottò lascia spesso il posto, in una drammaturgia perfettamente calibrata, alle parole stesse del poliedrico artista. E così, in una sorta di postuma rivincita, il regista di “Quarto Potere” può tornare sul suo percorso artistico per ricordare i grandi lavori, in teatro, alla radio e al cinema, che “solo pochi si ricordano”. Può raccontare i progetti autofinanziati partecipando, come attore, a produzioni commerciali – “Io facevo ruoli di merda per finanziare i miei progetti. Oggi gli attori fanno ruoli di merda e basta”. Fino ad urlare la sua poetica, l’idea che lo ha accompagnato per una vita intera, il suo statuto di avanguardista – nel senso profondo, vero, originale del termine: “la responsabilità dell’artista di essere consapevole di coltivare terreni mai coltivati”.
Senza mai perdere la carica ironica a l’attenzione del pubblico – Battiston catalizza gli spettatori con una prestazione attoriale di altissimo livello -, lo spettacolo diviene uno dei migliori omaggi che si potesse fare a Orson Welles. Coerente con il personaggio, dall’acuto sarcasmo e la grande lungimiranza, viene evocato un ricordo senza nostalgia, tessuto un elogio senza lodi, sincero come se i due autori fossero amici di lunga data di questo “genio infinito e grandissimo cialtrone”.
Una meritatissima ovazione del pubblico chiude uno spettacolo che Welles stesso avrebbe sicuramente applaudito.
Silvia Gatto