Recensione di Tanti saluti. Un progetto di teatro civile clownesco di Giuliana Musso
Alla morte nessuno può sottrarsi. Può far paura, ci si può non pensare, ma è inevitabile: tutti per quanto ricchi, sani e importanti non possiamo procrastinare la “nostra ora”. La morte comunemente fa paura, perché è la fine di ogni cosa in questa vita, il termine ultimo entro il quale “quel che è fatto è fatto”. Anche se abituati ai lutti e fin troppo circondati da cronaca di morte, chi è davvero preparato all’idea di andarsene?
Quindi non ci si pensa, ma a volte è importante parlarne e spesso la risata diventa uno strumento efficace.
Tanti Saluti è uno spettacolo – diretto da Massimo Somaglino e frutto della ricerca e del lavoro drammaturgico di Giuliana Musso – incentrato sul tema della morte, che utilizza come principale linguaggio la comicità del clown.
In scena una semplice parete nera che funge da unica quinta, dalla quale escono gli oggetti di scena e attraverso la quale vengono creati numeri ritmati e ben costruiti di entrate e uscite continue. I tre attori, Beatrice Schiros, Gianluigi Meggiorin e la stessa Giuliana Musso, più che specifici clown, costituiscono involucri duttili pronti ad ospitare diversi personaggi stereotipati della nostra contemporaneità, che si imbattono – volenti o nolenti – con il proprio decesso: come ad esempio tre vecchietti che, durante il consueto passatempo della lettura dei necrologi sul giornale, muoiono tragi-comicamente uno ad uno senza accorgersene.
I tre bravi attori propongono – con padronanza nell’uso di voce e corpo – caricature dell’umanità di cui facciamo parte, personaggi che si ritrovano davanti all’“oscura signora” nel momento in cui li invita ad entrare nella propria bara, in un silenzioso, ma eloquente, messaggio. Si vede la casalinga che, interrotta nelle sue innumerevoli faccende da tuttofare di famiglia, si oppone all’invito della morte, perché impreparata all’idea di lasciare tante persone senza il suo aiuto. E incapace in particolar modo di lasciare tutto a metà, compresa la pizza che sta cuocendo in forno, suo ultimo pensiero prima che il coperchio della bara si chiuda sopra di sé, dopodiché, nel silenzio, si sentirà riprendere l’incessante sbattere della frusta nella terrina che la casalinga aveva sempre tenuto in mano.
Umanità che non vorrebbe, naturalmente, andarsene ma che poi inevitabilmente deve acconsentire: come il ben riconoscibile uomo politico che trova impossibile l’ipotesi che anche a lui tocchi morire; oppure come la donna che si ritrova a chiedere urlando alla morte perché dedicare la propria vita al fitness e investire infinite energie per il proprio corpo, se poi deve andarsene? Scene che provocando un sorriso, rivelano la strana convinzione che abbiamo di crederci immortali e ricordano al pubblico che viviamo ogni giorno dimentichi che il “nostro momento” può arrivare inaspettato in qualunque istante.
Altre volte, invece, la morte viene aspettata con impazienza, chiesta, pregata e supplicata perché non concessa. Il secondo linguaggio proposto, infatti, sono le testimonianze reali – raccolte dalla Musso – di chi ha visto e sofferto la morte o di chi, esasperato da lunghe malattie, la aspetta. Agli sketch comici si susseguono intermezzi dal carattere serio che capovolgono l’atmosfera parlando al pubblico molto direttamente attraverso confidenze di esperienze toccanti e forti. A segnare il cambio di registro è il semplice gesto di togliersi e poi rimettersi il naso rosso. Gli spettatori diventano testimoni delle storie di familiari di un paziente, di infermieri, di amici, di accompagnatori verso la morte; di storie di accanimenti infiniti, operazioni, rianimazioni, paure, dubbi, desideri di giungere a un morte serena.
Si crea così un’altalena di atmosfere contrastanti in cui il gruppo di attori dimostra la rara capacità di far ridere e poi commuovere in pochi minuti, sconvolgendo il pubblico che, divertito, ma toccato, si ritrova a riflettere in modo inusuale su temi delicati come l’accanimento terapeutico, la condivisione in famiglia di lutti e malattie, l’eutanasia.
Lo spettacolo riesce a mostrare l’assurdità per la quale la morte naturale oggi non esiste più, ma ogni decesso risulta causato da una responsabilità medica. Oggi, grazie all’avanzata tecnologia di cui disponiamo, si è creato un meccanismo paradossale per il quale il medico preferisce creare un limbo eterno di non-vita al proprio paziente pur di non incorrere in cause legali per averlo lasciato morire anche se consapevole che non c’erano speranze.
La medicina – come viene detto in Tanti saluti – è la capacità di costruire “ponti”: quando una persona si ritrova a dover affrontare un ostacolo (un incidente o malattia) offre le conoscenze per superarlo. Quando si costruisce un ponte, però, non sempre si sa se al di là ci sarà una sponda sulla quale il paziente potrà poi riprendere il proprio cammino. Ma il ponte si costruisce ugualmente, anche perché spesso solo in alto, salitici sopra, si ha una visione chiara di tutto. Però, una volta costruito, non si può più tornare indietro e il paziente che non trova sponde oltre il ponte rimane incastrato in un limbo, senza poter andare né avanti né indietro.
Visto al Teatro Toniolo, Mestre
Agnese Bellato