Recitazione svuotata. E Shakespeare ringrazia

Recensione a Il mercante di Venezia – regia di Massimiliano Civica

In un suggestivo ambiente decadente, un bastione dimenticato e trasformato in spazio teatrale dal Festival Teatri delle Mura, è andato in scena Il mercante di Venezia, spettacolo primo della ormai stimata rassegna padovana. Si inizia con essenzialità e parole, con un teatro ricercato, possibile da apprezzare solo per chi non ferma il suo giudizio al primo impatto, ma procede oltre, cercando di interrogarsi sul motivo che ha portato il giovane Massimiliano Civica a fare determinate scelte registiche. Dopo aver ottenuto con questo lavoro il premio Ubu 2008 per la miglior regia, Civica approda tra le rovine medievali portando un teatro ridotto all’osso – o meglio, alla drammaturgia – invitando alla riflessione il numeroso pubblico presente.

foto di Andrea Cravotta
foto di Andrea Cravotta

Nessuna scenografia, ma solo quattro sedie sul palco, dove gli attori silenziosamente e impassibilmente attendono il proprio turno con delle maschere sul volto, prima di alzarsi e interpretare la propria parte. Rappresentano semplicemente i personaggi principali del famoso testo shakespeariano: il generoso Antonio, cristiano che presta denaro ai suoi amici solo per altruismo, Bassanio, amato e soprattutto appoggiato da Antonio nell’impresa di conquistare e sposare la bella e sagace Porzia, regina di un regno inventato, e Shylock, l’ebreo usuraio che viene umiliato per infine perdere tutto e ritrovarsi solo, senza affetto né alcun bene materiale. Una trama fatta di vendette e di promesse, dove la felicità di coppie innamorate si contrappone alla solitudine degli sconfitti.

Il regista rietino propone una fedelissima drammaturgia, restituendo un testo che risulta perfetto nella sua purezza. Non vi è alcuna immedesimazione degli attori, la recitazione è svuotata di qualsiasi coinvolgimento emotivo. Civica sembra voler presentare uno Shakespeare gelido, senza anima; ma è proprio qui che spunta un paradosso: impossibile far suonare vuote le malinconiche e rassegnate parole di Shylock, quando nel suo celebre monologo si chiede se anche un ebreo non abbia occhi o non soffra come un qualsiasi altro uomo; impensabile rendere privi di dolcezza i versi recitati e sussurrati da Jessica, la figlia dello strozzino, scappata di casa per amore di un cristiano, dopo aver rinnegato suo padre, sangue del suo sangue. Nelle battute finali del Mercante, quando i dialoghi racchiudono ogni tipo di dramma umano e forti sentimenti enunciati con parole che dilanierebbero qualsiasi anima, sembra quasi che gli stessi attori, Oscar De Summa, Mirko Feliziani e Angelo Romagnoli, fatichino nel trattenere il proprio pathos, cercando di mantenere la distanza e quell’essenzialità fortemente voluta. L’unica a non cambiare mai tonalità è Elena Borgogni, che si estrania totalmente, come fosse una marionetta, lasciando il suo sguardo perso nel vuoto.

Di fronte a un teatro paradossalmente freddo e distante, è il testo a uscirne vincitore: spicca tutta la poeticità piena di amara dolcezza di uno Shakespeare impossibile da mettere da parte, perché la sua scrittura piena di umanità non conosce tempo. Il mercante di Venezia acquista una forza incredibile, come se fosse elevato all’ennesima potenza: la nuda bellezza delle parole rapisce e conduce per mano verso un poetico e indefinito altrove.

Visto a Bastione Santa Croce, Padova

Carlotta Tringali

 

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