Recensione di Blue Lady – Carolyn Carlson, Tero Saarinen
Con il passato bisogna sempre fare i conti e, per quanto si cerchi di sfuggire alle sue braccia, arriva sempre un momento in cui riaffiora. Riappaiono ricordi, pensieri, immagini di un ieri ancora molto presente, toccante, da riprendere in mano e quindi da rigiocare, da amalgamare con un contemporaneo vivo e vissuto.
Con questo tipo di passato si è rapportata Carolyn Carlson, straordinaria danzatrice e coreografa americana, scegliendo di rivisitare il suo più importante assolo, Blue Lady (1984), adattandolo alle forme e all’espressione corporea di Tero Saarinen, favoloso ballerino, nonché suo ex allievo, con il quale condivide l’amore per la Finlandia, per il Giappone e per una danza che rende visibile l’energia invisibile.
Lo spettacolo, che ha debuttato a Civitanova Marche il 18 marzo scorso ed è poi approdato a San Marino al Teatro Nuovo di Dogana il 20 marzo, era l’espressione dell’interiorità di una donna appena diventata madre, era il frutto di un lungo lavoro su se stessi, sul proprio corpo, cercando di capirne i limiti e le possibilità. Tutto questo ha portato Carolyn Carlson ha fare un ulteriore lavoro sulla e della memoria per la rivisitazione di Blue Lady; il movimento e il corpo di Tero Saarinen costituiscono il mezzo per rievocare tale ricordo, lo strumento che permette il ritorno alla carne di un gesto affascinante. Insieme sono riusciti a rimettere in piedi questa “coreografia-mondo”, questo contenitore di gesti profondamente personali, che avendo una precisione adamantina, riesce ad arrivare a chi assiste alla performance.
Non si possono non mettere a confronto i due spettacoli, quello del 1984 e quello del 2009, poichè è nettamente visibile la differenza tecnica ed espressiva che sta alla base dei due danzatori interpreti: lei lavora sui nervi e sui muscoli trasmettendo attraverso la frantumazione del gesto un’intensità e una tensione potente ed esplosiva; lui invece rielabora la tensione del gesto attraverso la fluidità e la naturalezza del movimento. Queste diversità fanno sì che la coreografia non sia l’esatta riproposizione di qualcosa di passato, che non corrisponde più al sentire presente dell’interprete e della coreografa, ma creano qualcosa di nuovo, rielaborato sulla base dei ricordi di oggi.
La memoria e il ricordo sono inoltre riproposti dall’atmosfera visiva e sonora che viene ricreata in Blue Lady, completamente intrisa di malinconia veneziana, rievocata dalle enormi tende veneziane appese davanti al boccascena e dalla musica composta da René Aubry. Perché è proprio a Venezia che la coreografa americana aveva ideato lo spettacolo. Infatti, dal 1980 al 1984, era stata invitata dall’allora direttore del Teatro La Fenice, Italo Gomez, a creare e guidare, sul modello del GRTOP (Groupe de Recherches Théatrale de l’Opéra de Paris), un gruppo di giovani danzatori. Parte di questi in seguito ha costituito la compagnia Sosta Palmizi e offerto il primo esempio di Teatrodanza italiano.
A Venezia Carolyn Carlson è molto legata: dal 1999 al 2002 è stata direttrice del settore danza della Biennale, aprendovi l’Accademia Isola Danza, un’accademia di danza contemporanea con sede nell’isola di San Giorgio; nel 2006 ha ricevuto il Leone d’oro istituito ex novo dalla Biennale. Ed è nella città lagunare che riapproderà il 14 e 15 aprile prossimo, assieme a Simona Bucci e Paki Zennaro, con un nuovo progetto formativo: L’Oriente, visibile e invisibile, un corso intensivo di due giorni rivolto a danzatori professionisti che si terrà alla Fondazione Cini. Si esibirà inoltre il 14 aprile al Teatro Fondamenta Nuove in Poetry Event, sua performance inedita.
Visto al Teatro Nuovo di Dogana, San Marino