Recensione a Una notte in Tunisia – Vitaliano Trevisan
La malattia, il rancore, la rabbia verso la società, il rifiuto. La fine di un uomo, la caduta, la perdita del potere. Vitaliano Trevisan racconta gli ultimi giorni di vita di un uomo politico, rifugiatosi in Tunisia, per sfuggire alla legge italiana. Difficile non pensare a Bettino Craxi, ma il riferimento resta celato, mai dichiarato dall’autore. Il protagonista, il signor X, è interpretato dallo stesso Trevisan, affiancato da Tiziano Scarpa, Cecchin, Carla Chiarelli, la moglie e Fabrizio Parenti, il fratello del signor X.
Una semplice mise en espace, che vede un testo complesso, un mélange tra storia e fantasia, scagliare frecciate alla politica italiana di oggi e d’allora. Di fronte a noi la caduta di un uomo, il rapporto con la malattia e con un potere ormai perso, esercitato sull’unico amico rimasto, il fedele Cecchin. L’analisi cinica e sarcastica della vita politica, una visione dissacrante e cruda espresse in battute dette tra i denti, portano il pubblico a sorridere di un riso amaro: una riflessione che scuote e allo stesso tempo diverte. La fantasia di Trevisan arricchisce la storia di un elemento spiazzante, un fattore di disturbo, che porta a rompere l’equilibrio: la presenza del fratello del Signor X trasforma le carte in tavola, e si manifesta come ultimo esercizio di potere, ultima manipolazione e strategia volta a riscattare la libertà del Signor X. Se, infatti, fino a quel momento, sembrava che la moglie volesse, tramite il fratello, convincere il Signor X a tornare in Italia e consegnarsi alla giustizia, il piano assume dei risvolti molto più tragici e macabri del previsto. Uno strano scambio di battute e sottintesi, tra moglie e marito, porta all’omicidio/incidente del fratello. Una parrucca ed uno scambio di nomi e il Signor X si dà per morto: ora può riprendersi la sua vita, la sua libertà.
Una drammaturgia, quella di Trevisan, ricca di riferimenti al passato e al presente; la nota vicenda viene rivista sotto un altro punto di vista: la latitanza diviene esilio, la malattia contamina il corpo dello Stato, di allora e di oggi. Un’accusa ed un giudizio, una ripresa e rivalutazione del concetto di responsabilità personale rispetto a quella politica: non viene messo in scena il personaggio in quanto politico ma in quanto uomo, malato ed alla fine della sua vita.
Una lettura critica dunque, portata in scena da due bravi attori e due spiazzanti scrittori. Divertente il rapporto tra Trevisan e Scarpa, che ricorda quello tra Hamm e Clov, padrone menomato uno e servo fedele l’altro, creati da Beckett per Finale di partita. I pezzi sulla scacchiera sono ormai pochi, restano poche mosse per vincere o perdere; i giochi di potere sembrano sempre aperti fino all’ultimo, inaspettato colpo di scena.
Camilla Toso