Recensione a Il baciamano – Laura Angiulli
Il teatro di Manlio Santanelli, autore de Il baciamano, affonda le radici nella Napoli efferata e affamata della Rivoluzione Partenopea del 1799, quando i lazzari — giovani della classe popolare – organizzarono una fortissima resistenza contro l’avanzata francese dei Giacobini in nome dei Borbone.
L’istinto puro anima i popolani, fino a toccare i limiti dell’umana comprensione, fino a regredire allo stato animalesco di cacciatori in cerca di prede da mangiare. Ma la preda qui è un uomo, un Giacobino; catturato e legato mani e piedi si confronta con il suo carnefice, Janara,in dialetto, strega. Uomo affettato dal linguaggio alto borghese il Giacobino dapprima cerca uno spiraglio nella rudezza di lei, poi capisce che il peso della violenza e della miseria che Janara porta con sé è troppo forte per lasciare spazio alla compassione.
I due mondi non possono incontrarsi ma per un attimo si sfiorano in un dolce e sublime gesto, quel baciamano che per lui è un complesso rituale, per lei è semplicemente l’unico fugace momento della sua vita in cui si sente finalmente trattata come una donna, con gentilezza.
La regia di Laura Angiulli è la perfetta trasposizione scenica della tensione drammaturgica del testo da cui a tratti traspare il sarcasmo con cui Janara apostrofa le finezze del Giacobino marcando nettamente il divario tra le due classi sociali. Questa donna dura ma indifesa non poteva trovare migliore interpretazione che in Alessandra D’Elia, corpo e voce al servizio del teatro. In una riuscitissima prova d’attore la D’Elia aggiunge all’asprezza della parole una fisicità altrettanto forte; le contrazioni delle sue mani sono cariche di esasperazione, le vene gonfie sul collo e sulle tempie sono cariche di sofferenza, ma nei suoi occhi si legge anche la tenerezza di chi ha rinunciato a sperare. Fernando Siciliano, il Giacobino, è la brillante controparte; entrambi lottano, l’uno per l’onore, l’altra per la fame.
Forse la Napoli di ieri è un po’ la Napoli di oggi, quella che si legge nelle pagine di Saviano, dove la causa della rivoluzione ha lasciato il posto alla camorra, sicuramente con ben altri principi ma con la stessa vena sanguinaria che si rispecchia nel cannibalismo di Santanelli, come “esasperazione paradossale dell’istinto di sopraffare il proprio simile”.
Visto al Teatro Galleria Toledo, Napoli
Stefania Taddeo