Secondo Emerson – studioso che tentò di perfezionare la teoria aristotelica del comico – se si separasse qualunque oggetto o uomo dalla connessione delle/alle cose e li si contemplasse singolarmente, tutt’a un tratto diverrebbero comici. Prendete un uomo, la vita di un uomo e raccontatene gli aneddoti più tristi senza il minimo segno di compianto, ma con un certo ritmo ed un accento familiare, scandendola in rime e raccontandola come fosse un film; e vedrete che anche la più tragica vita si trasformerà in commedia. Fatelo in un luogo sicuro, dove è certo che ciò che state raccontando appartiene ad un altro mondo, fatelo su un palco di fronte una platea numerosa: ché a teatro si raccontano storie. E vedrete che la gente ne riderà di cuore. Ecco allora che la disperazione di un uomo di mezza età, la disoccupazione, il declino fisico e psicologico, l’alcolismo e la malattia — messi su carta dalla penna di Alessandro Benvenuti e trasformati nelle tragicomiche vicende della storia di Cencio — si allontanano dalla realtà per sciogliersi in risate.
Me medesimo è un testo autobiografico dell’autore fiorentino scritto nel 2005 e pensato per l’attore Andrea Cambi, scomparso prematuramente pochi anni fa. È uno sfogo rispetto una vita ingiusta fatta di fallimenti e peregrinazioni emotive, di fregature e crudeltà. Quando Benvenuti ne parla lo presenta come un testo sul dolore, scritto in un periodo di profonda rassegnazione, ma espressione esso stesso di una profonda volontà e fiducia nel domani. La distanza dalla propria condizione è il primo passo verso la rinascita, è così che nasce il racconto di Cencio. Un pezzo di vita, delle molte vite di tutti quegli uomini che — presi dalla disperazione e dalla crisi — si ritrovano “ridotti a un cencio”, uno straccio appunto. Uomini comuni, padri di famiglia, cassintegrati, plurilaureati, disoccupati con problemi di salute e patologie immaginarie. Classiche problematiche da crisi di mezza età: dolori all’ernia, sovrappeso e fisime sulle dimensioni dei propri genitali. Impossibile non disegnarne una caricatura.
Le vicende si accavallano l’una sull’altra in un frenetico e continuo flashback cinematografico di vite raccontate in forma di sceneggiatura. Primo piano, piano sequenza, campo lungo: come sarebbe pensare la propria vita al di là della macchina da presa. Cencio è il primo a tentare di distanziarsi dalla propria esperienza, per riderci su, tentare almeno un timido sorriso che in mano ad una platea si trasforma in risata fragorosa. Punto indispensabile per scatenare la comicità è creare «qualcosa come un’anestesia momentanea del cuore» scriveva Bergson nel suo saggio sul riso. La distanza che divide palco e platea, autore e personaggio, è fondamentale per stimolare la comicità ricercata da Alessandro Benvenuti. Tagliente e cinico, l’autore toscano usa una scrittura rimata di grande poesia per descrivere situazioni caustiche. Abusando ed esagerando nell’uso di vocaboli ed aggettivi , battute, giochi di senso e allusioni, costruisce un iperbole tragicomica che sfocia nella confessione stessa della condizione d’autore: «adesso basta qui ci metterei un bel punto!», quasi a voler sottolineare che almeno ciò che scrive, Cencio-Benvenuti, è perfettamente sotto il suo controllo.
Camilla Toso
Visto a Estate a Radicondoli