Recensione a AURE – di Teatropersona
Il tempo perduto ha sempre quella qualità intimamente percepibile di evocazione, si avvale dei sensi che ne rintracciano la pensosa attiguità col presente, riportandone in luce sensazioni nascoste e che si credevano dimenticate, nella densa melassa della memoria. Non è un caso dunque che proprio attraverso le presenze – le sagome fuggevoli di vite odierne che ombreggiano vite passate – Alessandro Serra e Teatropersona compongano questo debutto di Aure, immaginato seguendo la linea proustiana di Alla ricerca del tempo perduto, ricerca letteraria tra i simboli più netti dell’intero Novecento.
Il loro intento è dunque intessere l’evocazione nello spazio che ad oggi pertiene, esprimendo quanto questa appartenga a chi ricorda, non al ricordo stesso, componendo quindi le presenze come marionette inanimate che tuttavia, d’improvviso, iniziano a seguire un percorso autonomo. Lo spazio scenico è invaso da una suggestione pittorica che rende la riconoscibilità della compagnia, quell’atmosfera di eleganza stilistica che traccia linee spesse e di colore denso, impenetrabile, tenendo fede a una capacità di comporre immagini cariche di consapevolezza significante; da tre aperture bianche nel nero diffuso, porte di una percezione sbiadita eppure viva, entrano ed escono le presenze, i corpi che restano installati in quel ricordo, almeno quanto il ricordo è in loro installato.
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