Recensione a Mercuzio non vuole morire – Compagnia della Fortezza
I battiti energici dei tamburi dalla fortezza di Volterra richiamano l’attenzione di passanti e curiosi e di chi ha fatto un lungo viaggio attraversando i suggestivi colli toscani che, sovrastati da pompose nuvole bianche, sembrano usciti dal pennello di Van Gogh. In moltissimi, turisti e stranieri, si fermano sotto la struttura medicea arroccata che si presenta come un castello da visitare; vorrebbero entrare, invitati da questo rimbombo: ma l’accesso è vietato a chi non ha fatto precedentemente la richiesta di permesso. La fortezza non è un semplice monumento: è la Casa di Reclusione di Volterra e quest’anno al suo interno non si tiene solamente lo spettacolo teatrale della storica Compagnia della Fortezza, ma tutto il Festival di Volterrateatro arrivato quest’anno alla sua XXV edizione.
La direzione artistica di Armando Punzo ha deciso infatti di trasferire l’intera rassegna in carcere con tutti i fattori negativi o positivi che ne derivano, vedi la limitazione di ingresso ai soli che già conoscono il Festival (dati i documenti che bisogna compilare un mese prima); o la possibilità offerta ai carcerati – che fanno parte della Compagnia – di girare tra gli spettatori e di poter vedere del teatro fatto da altri in “casa propria”, occasione rara e molto apprezzabile. E se ci si ferma a scambiare due parole con alcuni di loro, questo apprezzamento si può leggere nei loro occhi mentre pronunciano delle parole di stima e ringraziamento per lo stesso Punzo, descritto come una persona di grande umanità, sempre disponibile all’ascolto.
È sicuramente una scelta che non lascia indifferenti, e anzi divide, quella del direttore artistico, il cui progetto è proprio quello di portare la città dentro il carcere. E con Mercuzio non vuole morire – la cui drammaturgia e regia sono di Armando Punzo – il paesino toscano viene inglobato simbolicamente nella fortezza attraverso le foto dei suoi palazzi e sagome di cartone di bambini che compongono le scenografie dello spettacolo. Bambini che non sono effettivamente potuti accedere al carcere ma che danno il loro apporto allo spettacolo prima che il pubblico venga fatto entrare, fuori dal portone di ingresso della fortezza dove una piccola scena, piena di dolcezza, prende corpo: vestiti di bianco eseguono una musica e dei passi di danza leggeri e delicati, mentre un personaggio enigmatico, con una scacchiera dipinta in volto e sulla giacca, porta con sé un orecchio gigante, invitando all’ascolto attento di ciò che avverrà all’interno della casa circondariale.
Usciti dal mondo di Alice nel Paese delle Meraviglie con Hamlice (leggi la recensione), lo spettacolo della Compagnia della Fortezza che aveva riscosso l’anno scorso un enorme successo, si entra nel mondo di Shakespeare e in quello di Romeo e Giulietta; ma i due innamorati di Verona non sono che un pretesto per poter invece mettere in risalto la figura di un poeta, Mercuzio, morto sospirando parole cariche di significato: «io parlo di sogni che sono figli di una mente vagabonda pieni soltanto di vana fantasia, che ha meno sostanza dell’aria ed è più incostante del vento». Mercuzio, interpretato da un duellante Punzo che accoglie gli spettatori nel cortile interno del carcere, rappresenta l’ultimo poeta, colui che non vuole arrendersi alla realtà sempre più grigia, più pessimista, dove i sogni, e con loro la speranza, vengono rilegati all’angolo per piano piano scomparire. Il poeta, l’artista è un temerario – come suggeriscono le parole scritte su degli striscioni posati in terra e costretti ad essere scavalcati dal pubblico; colui che continua a pensare che la poesia sia necessaria in questo mondo di pescecani, come Mercuzio, non può che soccombere: vengono in mente coloro che fanno teatro e si occupano di cultura sempre più emarginati e in difficoltà, sempre in lotta per sopravvivere.
Si lascia il cortile per entrare dentro le stanze-nicchie tappezzate di fotografie che rimandano a una Volterra-inferno: la sensazione è quella di essere all’interno dei quadri impossibili di Escher, in una costruzione opprimente da cui non si può uscire. Lungo il corridoio stretto che dà su queste stanzette si è compressi dal numerosissimo pubblico presente che vaga alla ricerca di un personaggio da ascoltare: i carcerati, con indosso i meravigliosi costumi che ricordano delle architetture e degli scacchi – realizzati da Emanuela dall’Aglio – si spostano continuamente pronunciando versi e parole presi da Romeo e Giulietta, ma non solo. Alle parole e ai personaggi dell’autore shakespeariano si mescolano alcune citazioni della Divina Commedia, la figura di Perseo, i versi di Cavalcanti o di Paul Valery o il canto-lamento della Didone di Purcell che chiede di essere ricordata. Si soffre per la troppa calca di pubblico all’interno di queste nicchie di diavoli e personaggi della tragedia; ma se da una parte il troppo “traffico umano” rende difficile, ansiogeno e claustrofobico il percorso, l’idea di un inferno dantesco diventa ancora più efficace. Mercuzio continua a duellare e riporta il pubblico fuori sul cortile interno del carcere: nonostante abbia un pugnale infilzato nella schiena e delle scarpe da pagliaccio che rendono il suo cammino più difficile, il poeta si batte ancora a spada tratta, corre in un mondo fatto di palloncini colorati legati alle mani di bambini di cartone portati in scena dai carcerati. Sulla sua bocca i versi di Majakovskij (che ritroviamo puntuali, come fossero una necessità quotidiana, dopo averli ascoltati a distanza di un solo mese anche al Festival di Santarcangelo, urlati dai bambini in Eresia della Felicità di Martinelli). All’interno del carcere questi palloncini si contrappongono al bianco e nero delle scenografie della città e al grigiore della realtà; sono l’unica possibilità di sogno rimasto a chi sembra destinato a perire, proprio come il personaggio di Mercuzio.
Mercuzio non vuole morire, che ricorda per delle scelte registiche forse un po’ troppo Hamlice, è solo la prima tappa di un progetto che proseguirà l’anno prossimo nel tentativo di coinvolgere tutta la città e che si spera non rimanga incompleto e con a disposizione troppi pochi soldi per la sua realizzazione (3500 euro come dichiara lo stesso Punzo al pubblico a fine spettacolo). Per continuare a sperare i sogni devono essere sostenuti concretamente: solo così la poesia potrà sopravvivere e Mercuzio non dovrà morire.
Visto al Festival Volterrateatro 2011, Volterra
Carlotta Tringali