Rituali quotidiani

Recensione a IAI – di Alessandro Martinello

Dalla necessità di riflettere su se stesso e di mettere ordine nel caos delle proprie suggestioni ha origine IAI, lo spettacolo di Alessandro Martinello nato in sinergia con il musicista Luca Scapellato. Partendo da Lezioni spirituali per giovani samurai di Yukio Mishima, controverso e amato artista giapponese del XX secolo, Martinelloripercorre le tappe di una sua personale ricerca tesa a scavare e sviscerare le possibilità espressive legate al video, raccogliendo suggestioni e influenze anche del lavoro di Tam Teatromusica, compagnia all’interno della quale lavora da diversi anni. Il loop, la videoproiezione, la manipolazione live si prestano come strumenti essenziali di questo processo il cui scopo è indagare la fisicità e la materialità della carne, del corpo fisico — motore di tutto lo spettacolo — e delle sue declinazioni nella realtà contemporanea.

IAI - foto di Claudia Fabris

Apparentemente solo sulla scena, il performer gioca con il proprio corpo, moltiplicandolo e plasmandolo come se fosse altro da sé, in un procedimento che rimanda alla mente gli avatar di cui ognuno si serve quotidianamente sui social network per comunicare con altre persone, reali o virtuali, o — meglio — virtualmente reali. Nascono così una serie di quadri di cui viene palesato il processo creativo, in un piano sequenza che assume i tratti di un rituale: ciascuna azione viene svolta in silenzio, immersa nel tappeto di sonorità elettroniche di Scapellato, dalla cui forza e suggestione si genera un continuum in grado di legare le immagini che si susseguono sulla scena. Uno scambio tra campo e fuori campo (per dirla con i termini del linguaggio cinematografico), tra interno ed esterno, che rimanda direttamente all’apertura dello spettacolo: su uno schermo nero si delineano parole e frasi battute in diretta su un computer dallo stesso perfomer, sino a costruire un muro di luce che ne invade il corpo. Le parole di Mishima si fondono qui alle parole dell’artista, innescando una reazione a catena che produce nuove interpretazioni e chiavi di lettura in grado di trascinare tutto lo spettacolo: è l’interiorizzazione di quelle parole, l’appropriarsene per piegarle alla propria visione che innesca il detonatore da cui ha origine l’inizio del rituale. Una preparazione che culmina in unico movimento, deciso, fermo e preciso: l’affondo. Al contrario degli schermi di proiezione continuamente ridefiniti per ospitare la propria immagine, è però una tela bianca quella che si trova ad accogliere questo ultimo gesto dell’artista, richiamando alla mente di noi spettatori occidentali i concetti spaziali dell’italo-argentino Lucio Fontana.

Nonostante gli innumerevoli rimandi concettuali (consapevoli e non) che costellano la messa in scena, IAI costituisce l’espressione di una necessità tecnica ed emotiva, come chiarito dagli artisti stessi nel corso dell’incontro con giovani critici provenienti da tre diverse testate (Il Tamburo di Kattrin, Teatro e Critica, e KLP). Un’occasione significativa, soprattutto in tempi come questi in cui è facile sostenere che la cultura non serva a nessuno perché sempre e comunque troppo lontana dall’esperienza quotidiana. È stata infatti la possibilità dell’incontro a permettere al pubblico di confrontarsi direttamente con i creatori e realizzatori dello spettacolo, esprimendo i propri apprezzamenti e i propri dubbi: un momento che ha permesso di fare così chiarezza su sfumature che si perdono nella fedeltà della restituzione temporale dell’azione, ma che conservano tutta la potenza visiva e la suggestione create da immagini e suoni che richiamano alla mente l’incontro tra Alva Noto e Ryuichi Sakamoto, tra tecnologia e poesia.

Visto al Teatro delle Maddalene, Padova

Giulia Tirelli

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