Ha debuttato a Primavera dei Teatri Il Presidente ovvero ambizione odio e nient’altro di Teatro Elicantropo, una tragicommedia sul potere scritta da Thomas Bernhard. La messinscena di Carlo Cerciello – fondatore nel 1996, a Napoli, dell’Elicantropo – segue la scansione drammaturgica dell’opera bernhardiana in cui viene presentata dapprima la Moglie, la bravissima Imma Villa che piange il suo cane morto, e, successivamente, il Presidente (interpretato da Paolo Coletta) in vacanza in Portogallo con la sua amante-attrice.
«In questo Stato oramai regna l’ambizione, l’odio e nient’altro», ripete con ritmo ossessivo la signoraa se stessa e alla governante, silenziosa figura che si prodiga per soddisfare le richieste della sua padrona. Silenziosa sì, ma interiormente ribelle nell’accelerazione di una corsa ai “piedi” della protagonista e dentro/fuori la scena. La donna è vestita a lutto, un abito che indossa ormai da tempo; appare nella sua magnificenza rialzata ad alcuni metri dal suolo, incastrata fino a metà corpo in una grande gonna: una struttura conica che rimanda al cumulo di sabbia che imprigiona Winnie in Giorni Felici di Bob Wilson e che viene celata da un leggero tessuto nero plissettato che scivola morbido su di essa. C’è stato un attentato e loro non dovevano trovarsi là, al Monumento ai Caduti, continua a ripetere la donna. Hanno sparato – gli anarchici! – e c’è mancato un pelo che non colpissero il Presidente. Nel delitto è stato ucciso il colonnello e l’adorato cane della signora, la sua suprema istanza, è morto di crepacuore quando ha sentito lo sparo. Un soliloquio logorroico e calzante, caratteristica compositiva di Bernhard, che restituisce tuttavia la lucidità di colei che si è ritrovata sposa di un dittatore che tormenta tutti, capo di uno Stato in cui oramai domina solo la paura, l’ambizione, l’odio e nient’altro.
Il passaggio alla seconda parte, in cui viene presentata la visione del protagonista maschile, avviene con un cambio scena: la struttura si priva del telo che l’ha finora ricoperta e al suo interno, in una lussuosa stanza d’albergo a forma di mausoleo, il Presidente si esibisce in un’autocelebrazione. Un monologo esplosivo di colui che «tutt’un tratto ha avuto l’idea di diventare un uomo politico», guida di «un Paese che non lo merita e in cui non può realizzare ciò che ha in testa». Il pensiero di un dittatore che ritiene che allentare i freni in politica generi anarchia e che i giornali siano la manifestazione di un complotto fatto di carta. L’incisività e la crudezza che caratterizza il soliloquio della Moglie trova riscontro solo in parte nella seconda metà dello spettacolo a causa dell’insistenza, non del tutto giustificata, sulla figura dell’amante-attrice, la “nuova Duse”, e di una forzatura vocale e gestuale del personaggio interpretato da Paolo Coletta.
Usciti dalla sala uno spettatore si domanda se l’opera sia stata scritta nel ’94. No, Bernhard l’ha composta nel 1975, il testo ha sullo sfondo i fatti della Banda Baader Meinhoff, ma le vicende sono così prossime alla nostra attualità da lasciarci credere che si stia parlando del nostro Paese. Si recepisce il noto, lo si interpreta e si lascia spesso che le verità che porta con sé si soggettivino nel nostro vissuto. Come dichiara il regista: «c’è un filo che collega l’opera con la nostra attualità molto forte, un filo che non riusciamo a non leggere, io non ho fatto niente, il testo è di Bernhard».
Visto a Primavera dei Teatri, Castrovillari
Elena Conti
Lo spettacolo Il Presidente è stato interessante e affascinante al tempo stesso, il bellissimo testo è reso dal regista in modo stupendo nella sua messa in scena originale.. Gli attori tutti bravi.