Nella cenere: l’invasione sottile della memoria
Ritornano nella seconda giornata del Festival Ipercorpo 2012 dei residui, delle tracce di intonaco disseminate negli spazi dell’Ex-Deposito ATR di Forlì. Sulle pareti, sul soffitto che cede, sul pavimento, ma anche all’interno delle performance: un’invasione sottile e silenziosa che si insinua distrattamente nello sguardo di chi attraversa questi luoghi parlanti e malinconici, che raccontano involontariamente il loro vissuto. Le scorie a volte riescono a narrare più della carne vivida, sono dei lasciti difficili da eliminare. C’è chi tenta di liberarsi di questi residui come succede nell’installazione Il mio curatore è il mio dottore del gruppo Mandra: dietro una stanza – creata con dei separé e internamente illuminata – alcune figure spazzano il pavimento, ammucchiando polvere e saggina appena fuori dai confini di questo cubo; una pulizia che potrebbe continuare all’infinito, a graffiare il cemento alla base che creerà continuamente pulviscolo. E poi, dove finiscono le scorie? Sono state spostate lì vicino, poco più oltre, impossibili da non notare, come impossibili sono state da eliminare, diventando anzi protagoniste in questo caso di un’installazione che altrimenti non avrebbe niente da raccontare.
E delle scorie non riesce a liberarsi neanche Ivan Fantini che nel suo spettacolo Narrare l’agnizione è bloccato con i piedi sotterrati nella cenere. A tratti tenta di liberarsene, ritraendo le gambe ma poi inesorabilmente vi ritorna, immergendo di nuovo i suoi arti nel cumulo di polvere grigia, esplicativo di una sterilità e un malessere da cui non potrà rinascere la vita, la sua felicità. Impossibile liberarsi dai residui, di ciò che è stato. Le tracce sono indelebili.
Carlotta Tringali
Dalla cenere: il seme di Darwin e l’estinzione delle arti
Se invece che dell’origine e dell’evoluzione della specie si fosse occupato di registrare le parabole delle esperienze artistiche e l’estinzione dei luoghi dell’arte, cosa avrebbe pensato Charles Darwin di questa ennesima decadenza? Torna in mente il Darwin del Teatro Sotterraneo, rivisto ne L’origine della specie il secondo giorno di Ipercorpo 2012, la sua maschera accigliata che scruta il mutamento del pensiero dopo di lui e insieme gli spettatori ignari del divenire e divertiti dall’esuberanza del gruppo fiorentino. Sotto i suoi occhi si va trasformando l’umanità attraverso l’estinzione della necessità artistica, si va perdendo il gusto e si arena la capacità di discernimento, la crescita degli individui che dovranno sviluppare i semi di una civiltà finita in secca.
Ma questo luogo ha accettato la sfida. Ipercorpo segue i passaggi di stato di questa comunità e se ne fa responsabile, penetra un capannone abbandonato e lo ravviva col gesto artistico, come fa l’acqua che irrora una pianta rinsecchita. Una pianta. Alla fine de L’origine della specie un uomo – l’ultimo – lascia un seme sotto la terra e azzera il timer della vita. Aspetta in silenzio, a braccia conserte che il timer riparta. E con esso che nasca qualcosa. Da quella terra Ivan Fantini comincia a Narrare l’agnizione, con lo stelo eretto della sua invettiva morale difende la Natura diventando egli stesso un suo prodotto, contro la falsità della contraffazione, contro il tradimento della missione umana. Mani dietro la schiena, la sua voce irrompe lenta e misurata per denunciare la manipolazione della materia senza amore per la creazione. È quello il momento in cui si tradisce la Natura e non arte, si genera, ma imitazione, falsità. Poi qualcuno ha detto che era cenere. E magari è vero. Così come la sua invettiva prende altre strade fumose e poco incisive. Ma una sensazione di nascita anche oggi ha colto questo vecchio deposito, anche oggi l’arte s’è impossessata della dimenticanza e ne ha fatto memoria, dalle ceneri di una civiltà.
Simone Nebbia
Questo contenuto fa parte di Situazione Critica in collaborazione con Teatro e Critica