Recensione a Democrazia – di Andrea Balzola, regia di Maria Arena
Un cappotto beige e un tubino nero. Due sorelle e due volti, antitetici ma inestricabilmente legati, sono al centro di Democrazia, in scena al Teatro Officina di Milano, dal testo omonimo di Andrea Balzola, pioniere in Italia di allestimenti multimediali, autore eclettico, docente di Drammaturgia multimediale e Culture digitali all’Accademia di Belle Arti di Brera. A dare voce e corpo alle sorelle Lia e Rachele, personaggi biblici e danteschi, è un’attrice di rara sensibilità e talento, Emanuela Villagrossi. Con lei sul palco nessun oggetto scenico: solo proiettori, microfoni, luci e tracce audio, video a circuito chiuso atti ad amplificare e sviluppare la dualità che è alla base della messa in scena, ben curata da Maria Arena, autrice anche dei video.
Il testo – dedicato a Marisa Fabbri che lo portò in scena per la prima volta nel 1999 per il Teatro di Roma con la regia di Claudio Longhi e la supervisione di Luca Ronconi – è concepito come un “tecno-dialogo” tra personaggio reale e virtuale, tra loro interscambiabili; una scelta che funziona sia come artificio necessario a una rappresentazione dialogica, sia come metafora della comunicazione contemporanea, sempre più potente e onnipresente ma anche astratta e mediata dal filtro tecnologico.
In scena, nell’intensa interpretazione di Emanuela Villagrossi, una rigida e tagliente Lia, tesa verso il futuro, lo sviluppo tecnologico e materiale, decisa a negare le proprie radici e tradizioni; e una contemplativa e malinconica Rachele, ripiegata sul proprio passato, attaccata a valori antichi, teme e rifugge il cambiamento. Due sorelle che hanno vissuto quella “trasformazione antropologica” descritta da Pasolini, nel passaggio da una società agricola, autarchica e patriarcale a una società industriale e poi post-industriale. Due sorelle che hanno vissuto una dittatura, una guerra fratricida e la travagliata nascita di una democrazia. L’azione si svolge in una città del nord Italia, tra il rombo della metropoli, immersa nel continuo via vai, in cui il «lavoro si crea e si distrugge dal nulla». Il passato però è la campagna, le feste, i nonni, la nebbia, l’immensa pianura coltivata e “senza un centro”. È proprio la campagna, nei suoi colori “acidi” ad essere centrale nello spettacolo, attraverso i dialoghi, i video, le suggestioni. Sarà in una videochiamata, proiettata su pannello bianco, che dopo anni di incomunicabilità e silenzio, le due sorelle si rincontreranno. Certamente un incontro effimero che si rivela inadeguato a risanare i loro conflitti.
Intenzione registica, come anche da indicazioni del testo, è di “problematizzare” il rapporto con la tecnologia con cui l’attrice “dialoga” sia rivelandone un po’ brechtianamente l’utilizzo in scena, sia con una scelta coraggiosa quale l’uso della “voce microfonata” alla quale davvero non siamo più abituati.
Visto al Teatro Officina, Milano
Maddalena Peluso